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Channel: Il blog dell'ordine di Melkizedek » Tradizione Sufica e sufismo
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L’Anima secondo un maestro Sufi

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Segue qui un prezioso contributo Sufico alla comprensione della struttura intima dell’anima umana

 

Tratto da “Dell’anima velata e dell’anima rappacificata”, di Ibn ‘Atà Allàh al-‘Iskandari

Ho sentito il nostro Maestro Abù al – ‘Abbâs al-Mursî – che Dio sia soddisfatto di lui – dire a questo proposito: “Quando Dio creò la terra sull’acqua, ella si mise ha tremare; allora, Dio la consolidò con le montagne”: “E ha stabilito saldamente le montagne “(Cor.79,32). Nello stesso modo quando (Dio) creò l’anima, questa si turbò, così che Dio la rinforzò per la “montagna” dell’intelletto”. Quindi ogni servitore dotato di intelligenza e radioso di luce riceve [nel suo cuore] una pace lenificante da parte Sua (di Dio), che acquieta la sua anima da ogni turbamento. Oramai fiduciosa in Colui che dispone a Suo gradimento delle cause seconde, essa trova la sua quiete; annullata, accetta con calma i decreti divini e affronta con fermezza il destino, sostenuta dalle luci e dall’appoggio [divini]. Essa rinuncia di governare o di contestare e si rimette al suo Signore, sapendo che Egli la vede: “Non ti basta che il tuo Signore sia Testimone di ogni cosa? “ (Cor.41,53). È questa anima [sottomessa e fiduciosa] che merito di sentirsi dire: “Oh tu, anima rappacificata, torna presso il tuo Signore soddisfatta e gradita; entra dunque tra i Miei servitori, entra nel Mio Paradiso”.(Cor.89,27-30). Ora, vi sono in questo ultimo versetto delle particolarità ammirevoli e delle virtù sublimi che sono unite (attaccate) ad un’anima pacificata

1) Sappi che l’anima riceve tre denominazioni differenti [nel Corano]:

a) Quella che incita [al male] (an-nafs al-ammâra bi al-sû’), (Cor.12,53)
b) quella che biasima se stessa ( an-nafs al-lawwâma) (l’anima cosciente delle proprie imperfezioni) (Cor.75,2)
c) ed infine quella che è rappacificata (an-nafs al-mutma’inna) (Cor.84,27)

Ma di questi tre tipi di anime, la sola alla quale Dio acconsente di rivolgersi è l’anima rappacificata. Della prima, Egli dice in effetti: “Certo l’anima incita al male” (Cor.12,53) ; della seconda: “Giuro per l’anima che invia dei biasimi a se stessa” (Cor 75,2); ma hai però ben visto che Egli si rivolge direttamente all’anima rappacificata, dicendogli: Oh tu, anima rappacificata, torna presso il tuo Signore…

2) c’è il fatto che Dio si rivolge a questa anima usando una forma onorifica (takniyya), che ciò nella lingua araba è una testimonianza di considerazione; è dunque un motivo di fierezza per chiunque è dotato di intelligenza.

3) Egli la qualifica di rappacificata, e questo contiene una lode implicita: cioè, che si è abbandonata a Dio riponendo la sua fiducia interamente in Lui.

4) c’è che la parola mutma’inn (“rappacificato”) designa anche un terreno ad un livello inferiore. [Ciò significa che] quando l’anima si è infine abbassata, umiliandosi e abbattendosi, il suo Signore la elogia e mette la sua gloria in evidenza, conformemente a ciò che ha detto il Profeta – su lui la grazia e la pace -: “Dio eleverà colui che fa mostra di umiltà davanti a Lui.”

5) questa parola: torna presso il tuo Signore, soddisfatta e gradita indica in maniera allusiva (ishâra) che l’anima che incita al male o quella che biasima non saprebbero ritornare a Dio in maniera onorevole; solamente l’anima rappacificata ottiene questo privilegio, poiché è [l’avere raggiunto la stazione] della Serenità (tranquillità del cuore) (al-Tuma’nîna) che gli vale questo invito divino: “Torna presso il tuo Signore, soddisfatta e gradita, poiché Noi ti autorizziamo ormai a venire in Nostra Presenza, e a stabilirti per l’eternità nel Nostro Paradiso.” Questo versetto incita dunque il servitore a desiderare questa stazione della Serenità (quiete del cuore) (maqâm al-Tuma’nîna) che non potrebbe essere raggiunta senza un totale abbandono a Dio, né a una rinuncia definitiva alla volontà propria in Sua (di Dio) Presenza.

6) il versetto dice: presso il tuo Signore, e non “presso al Signore” o ” presso a Dio”, il quale contiene un’altra allusione: il ritorno dell’anima rappacificata si opera sotto l’egida della Grazia della Sua Signoria (Lutf Rubûbiyatihi) ; e non sotto il Rigore Divino ( Qahr Ilâhiyatihi); ciò è un modo di trattare l’anima con affabilità, onorandola e testimoniandole dell’affetto.

7) c’è che questa anima è detta soddisfatta, vale a dire: soddisfatta in questo basso-mondo (dunyà) dei decreti divini, e nell’Aldilà (Akhira) della Sua Generosità e dei Suoi favori. Ecco qui messo in evidenza che nessuno può sperare di tornare a Dio senza precedentemente essere rappacificato da Lui, e soddisfatto di Lui – esaltato Egli sia . O in altri termini che nessuno può essere gradito da Dio nell’aldilà senza essere stato soddisfatto prima di Lui in questa basso-mondo. (*nota) (* l’autore fonda la sua interpretazione sull’ordine stesso in cui è scritto il versetto in arabo: la parola “ràdiya” (soddisfatto) , segnando la soddisfazione del servitore, precede in effetti la parola “mardiyya” (gradito) segnando il Gradimento divino).

Mi obietterai forse che se in questo versetto il Gradimento divino appare come risultante della soddisfazione del servitore nei confronti del suo Signore, ve n’è un altro (di versetti): Dio è soddisfatto di loro, ed essi sono soddisfatti di Lui (Cor. 98,8), dove il Gradimento divino sembra dovere precedere la soddisfazione del servitore. Ma ti risponderemo che ciascuno di questi due versetti stabilisce una verità incontestabile, e che è facile conciliarli. In effetti, Dio è soddisfatto di loro ed essi sono soddisfatti di Lui implica veramente che il Gradimento divino precede la soddisfazione del servitore; ciò è conforme alla Realtà, poiché se Dio non fosse stato innanzitutto soddisfatto di loro, come avrebbero potuto essi essere soddisfatti di Lui? Quanto all’altro, soddisfatta e gradita significa semplicemente ciò che abbiamo appena detto: colui che è soddisfatto di Dio in questo mondo sarà gradito da Dio nell’altro mondo, e questa evidenza non pone nessuno problema.

8) questa anima è detta gradita. Quale elogio sublime è qui rivolto a questa anima rappacificata, quale illustre titolo di gloria! Rileggi questo versetto dove sono descritte le delizie di cui godranno le genti del Paradiso, ma che conclude così: … la Soddisfazione di Dio è [cosa] più grande ancora (Cor.9,72). Il Gradimento che Dio consentirà loro appare come una cosa molto più importante che tutti i godimenti che possono essere a loro accordati .

9) Dio dice ha questa anima: Entra nel numero dei Miei servitori, ciò che costituisce per essa un annuncio eccellente. A quali servitori è in effetti invitata ha unirsi? A quelli che ha beneficiato dell’Elezione e dell’Assistenza divina (‘ibâd al-Tahsîs wa al-Nasr), e non ai servitori del Regno che piegano sotto il Rigore (Costrizione) (‘ibâd al-Qahr wa al-Mulk) ! A quelli di cui è stato detto: In verità, non avrai nessuno potere sui Miei servitori e: Li sedurrò tutti eccetto i Tuoi servitori sinceri, non a quelli di cui è detto: [In questo giorno,] Non c’è niente di ciò che è nei cieli o sulla terra che non stia per recarsi dal Misericordioso, come Suo servitore (Cor.19,93)! Perciò, l’anima proverà una gioia ben più grande nell’essere invitata a entrare tra i Suoi servitori che di entrare nel Suo Paradiso. Poiché il primo invito stabilisce il legame tra lei ed il suo Signore, mentre il secondo lo stabilisce solamente tra lei ed il Suo Paradiso!

10) questo ultimo appello: entra nel Mio Paradiso indica che queste sono le qualità dell’anima rappacificata che la dispongono ad aspirare al Paradiso – quelle dell’ubbidienza in questo basso-mondo, e quello dell’Aldilà che ci è stato descritto -, ed ad essere nel numero dei servitori di Dio. Ma Dio è più Sapiente.

C’è dunque in questo versetto l’indicazione di due qualità incompatibili con la volontà propria, e di cui l’acquisizione è valsa all’anima i favori che sono appena stati descritti: la rappacificazione e la soddisfazione. L’anima non può difatti essere rappacificata che rinunciando a governarsi in presenza di Dio, per la fiducia che ella pone nel Piano divino nei suoi confronti. Accontentandosi di Dio, abbandonandosi a Lui – sottomessa alle Sue decisioni e al Suo Comando – e placandosi davanti alla Sua Sovranità – soddisfatta di affidarsi alla Sua divinità – essa non conosce più l’agitazione: dopo averla gratificata della luce dell’intelletto, Dio ha rinforzato la sua posizione, così che eccola immobile, annullata davanti alle Sue decisioni rimettendosi a Lui nel compiere gli avvenimenti come per interromperne il corso.

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Mike Plato confuta le affermazioni del Sufi S.H.Nasr

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Pubblico qui alcune affermazione di un maestro sufi e relativi miei commenti

 

«Seguire il Sufismo significa morire gradualmente come sé per diventare il vero Sé, cioè rinascere diventando consapevoli di ciò che si è sempre stati dall’eternità (azal), pur senza esserne consci, finché la trasformazione necessaria sia avvenuta. Significa scivolare fuori, cioè liberarsi della propria forma come un serpente della propria pelle».
Mike: ciò è vero

«La dottrina sufi non afferma che Dio è il mondo, bensì che il mondo, nella misura in cui è reale, non può venire essenzialmente alienato da Dio; se così fosse si giungerebbe a una seconda realtà del tutto indipendente, a una natura divina autonoma, la quale distruggerebbe l’assolutezza e l’unicità che appartengono soltanto a Dio»
Mike: Ciò non è per la gran parte vero. Dio e questo mondo sono antitetici e Lui stesso pone l’alternativa. In Genesi Dio pone uno spartiacque tra Acque di Sopra (regno di Luce) e Acque di Sotto (Regno Materiale) dividendoli con lo Shamaim (regno astrale)

«Non è possibile seguire un’autentica via spirituale senza la guida di un maestro… Il maestro sufi è il rappresentante della funzione esoterica del Profeta dell’Islam… La funzione del maestro spirituale… è appunto quella di rendere attuabili la rinascita e la trasformazione spirituali»
Mike: ciò non è affatto vero, o comunque parzialmente vero. Dio può istruire direttamente chi vuole, come vuole e quando vuole , secondo il logion di Gesù: IL VENTO SOFFIA OVE VUOLE E TU NE ODI LA VOCE, COSI è DI CHIUNQUE VIENE DALLO SPIRITO

«La molteplicità delle religioni è il risultato diretto dell’infinita ricchezza dell’Essere divino»
Mike: ciò è vero

«Per essere in armonia con la Terra, bisogna esserlo con il Cielo»
Mike: ciò è vero

«Essere felice con la natura significa… accettare le sue norme e i suoi ritmi, e non cercare di dominarla e di sopraffarla»
Mike: ciò non è del tutto vero. Adamo fu creato per dominare la natura inferiore dentro e fuori di lui, fu creato per divorare la terra in cui cadde, non per salvarla. Ciò che aAdamo deve salvare è la natura sottile del mondo che una volta era Eden. Adamo era l’estensione di Dio utile affinchè Dio trionfasse sulla materia. Questo progetto si completerà alla fine del settimo giorno, e solo dopo tale tempo vi sarà l’eterno riposo sabbatico. Il dominio che l’uomo odierno cerca di attuare è di altra natura

«L’uomo moderno ha perduto il senso della meraviglia, a causa della perdita del senso del sacro»
Mike: ciò è vero, e aggiungo che un iniziato è tale solo se si meraviglia di un mondo che vede con nuovi occhi. Ciò è chiamato “stupore infantile”, ma va inteso in senso iniziatico e finalizzato ad una ricerca iniziatica

«Come l’uomo, le Sacre Scritture sono composte di corpo, anima e spirito oppure delle dimensioni letterale, morale e sapienziale o spirituale. Non tutti i lettori possono comprendere il significato interno presente nel testo, ma anche quelli che non possono afferrare questa saggezza sono coscienti che c’è un qualche tipo di messaggio nascosto nel libro di Dio»
Mike: ciò è verissimo. Ne parlò anche Dante nel Convivio 11.1

«La deificazione del processo storico in termini secolari si è imposta nel mondo moderno non solo perché gli insegnamenti metafisici sul tempo e sull’eternità sono stati dimenticati, come effetto della desacralizzazione che ha pervaso sia la sfera della conoscenza e che il mondo fisico, ma anche… a causa della particolare enfasi posta dal Cristianesimo sulla storia, enfasi che non si rileva in altre tradizioni»
Mike: ciò non è assolutamente vero. Il vero cristianesimo, quello primitivo, sosteneva che la storia e il tempo sono illusione. E’ stata la Chiesa Romana a caricare l’enfasi sul “secolo”. Paolo stesso afferma l’illusorietà del tempo: “non conformatevi alla mentalità del secolo”

«L’uomo scorge sempre nella natura il riflesso del suo essere e la concezione che egli ha di se stesso»
Mike: è vero. Ciò che è fuori è dentro, e dentro è fuori. il fuori è lo specchio del nostro universo interiore. la terra è a immagine del cielo (il celato, l’interno, l’immanifesto)

«Considerata come un testo, la natura è un complesso di simboli che devono essere letti in accordo al loro significato»
Mike: Ciò è vero, se diamo alla natura un’accezione estesa, intesa come tutto ciò che è esterno a noi

«Dal punto di vista islamico l’unico legislatore è Dio. L’uomo non ha facoltà di fare leggi: egli deve obbedire alle leggi che Dio ha inviato sulla terra per lui. Quindi qualunque governo, per ideale che sia, dal punto di vista della Shari’ ah è privo di potere legislativo in senso islamico. Funzione del capo politico non è emanare leggi ma metterle in atto. L’elemento cardinale è costituito dall’esistenza di una legge divina, che deve essere amministrata nella società umana»
Mike: ciò è vero, ma occorre dire che l’uomo ilico o terrestre segue la legge di poteri divini inferiori, e non certo quella del Dio Altissimo. Egli non conosce nè il Dio Altissimo nè la sua legge, seguita da pochissimi

«Non vi è nulla di più inutile e persino pernicioso che creare un sincretismo da varie religioni con pretese di universalità, mentre in realtà non si fa altro che distruggere le forme di religione rivelate, le quali sono le uniche a rendere possibile la relazione fra il relativo e l’Assoluto, fra l’uomo e Dio»
Mike: ciò è vero solo per chi decida di seguire un solo raggio. Pochi riescono ad estrarre i migliori frutti da tutti i raggi. Il sincretismo è un’arte che bisogna saper esercitare

«L’Islam considera l’uomo quale egli è nella sua natura essenziale, e Dio quale Egli è nella sua assoluta realtà. Il punto di vista islamico è fondato sulla considerazione dell’Essere divino quale è di per se stesso, e non in quanto incarnato nella storia»
Mike: E’ corretto. Questa era anche l’idea di Henry Corbin

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Definizioni della Via Sufica (Tasawwuf)

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Qui di seguito le citazioni, fatte dagli stessi Sufi, tratte principalmente dal Tadhkiratu-l-Awliyà di Farid ‘Attar e dalla Risàlah di Qusciayrì, che nei riferimenti sono rispettivamente indicate con le abbreviazioni  T.A. e R.

 Rumi_Mevlana.jpg                                              

MA’RUF AL-KARKHI (+ 2oo E.)
- Il tasawwuf è afferrare le verità e rinunciare a ciò che è nelle mani degli uomini.
  (R., 149, I; T.A., 1, 272).

ABU  SULAYMAN AD-DARANI (+ 215 E.)
– Il tasawwuf è questo: che le azioni (del sùfi) non tengano conto del sùfì: esse sono note soltanto ad Alláh; che egli sia sempre con Alláh in un modo conosciuto soltanto da Alláh. (T.A., I, 233).

BISHR AL-HAFI (+ 227 E.)
– Sùfi è colui che conserva un cuore puro nei confronti di Alláh. (T.A., 1, 112).

DHUL-L-NUN (+ 245 E.)
- Gli fu chiesto del tasawwuf, ed egli rispose: « Sono gente che hanno preferito Alláh a qualsiasi altra cosa, perciò Alláh li ha preferiti a qualsiasi altra cosa». (R., 149, 20; T.A., 1, 133).

- Il sùfi è tale che, quando parla, il suo linguaggio è l’essenza del suo stato, ciò significa che quando parla non dice nulla senza essere egli stesso quel qualcosa; e quando tace il suo comportamento esprime il suo stato e traduce all’esterno il distacco di esso. (T.A. 126).

ABU TURAB AL-NAKSHABI (+ 245 E.)
– Il sùfi non è insozzato da nulla e tutto è da lui purificato. (R., 149).

SARI AS-SAQATI (+ 257 E.)
– Il tasawwuf è un nome che include tre concetti.
Il sùfi è colui in cui la luce della conoscenza divina non spegne la luce della pietà;
è colui che non manifesta all’esterno dottrine esoteriche in contraddizione con il significato letterale del Corano e con la Sunna;
e il potere di compiere miracoli non gli fa violate gli obblighi sacri imposti da Alláh. (R., 12; T.A., ->82).

ABU HAFS AL-HADDAD (+ circa 265 E.)
– Il tasawwuf è tutto intero disciplina. (T.A., 1, 33I)

SAHL B. ADuLLAH AT-TUSTARI
– Il sùfi è colui che si è purgato da ogni lordura ed è diventato un ricettacolo di meditazione, e in Prossimità di Allàh è escluso dal genere umano; ai suoi occhi l’oro e la terra sono di egual valore. (T. A., I, 264).

-Il tasawwuf è: nutrirsi parcarnente, riposarsi in Alláh e fuggire dagli uomini. (T.A., 264).

ABU  SA ‘ID AL-KHARRAZ (+ 286 E.)
– Gli dornandarono cosa fosse il tasawwuf. Rispose: « Il súfi è reso puro dal suo Signore ed è riempito di splendori, ed è immerso nella quintessenza delle delizie grazie alla pratica dell’ ” incantazione” (dhikr) ».

SUMMUN AL MUHlBB (+ 297 E.)
– Interrogato a proposito del tasawwuf, rispose: «Consiste in ciò: che non possederai nulla e nulla ti possiederà ». (R., 148).

‘AMR BEN ‘UTHMAN AL-MAKKI (+ 291 E.)
– Gli fu domandato cosa fosse il tasawwuf. Rispose: « (Si applica) a qualcuno che è sempre occupato di ciò che è piú adatto a lui in quel rnomento ». (R., -148).

ABU-L HUSSAYN AN-NURI (+ 295 E.)
- E’ un attributo del súfi esser sereno quando non ha nulla, e non esser egoista quando gli vien dato qualcosa. (R., -149).

- I sùfi sono coloro che si sono liberati dalle sozzure dello stato umano e si sono purificati dalla macchia dell’ego e liberati dalle brame; perciò sono in pace con Allàh e sono situati nei primi ranghi della prossimità e nel grado piú elevato;
sfuggiti da tutto ciò che non sia Lui, non sono né padroni né schiavi. (T.A.).

- Il sùfi è colui a cui nulla è attaccato, e non si attacca a nulla. (T.A.).

- Il tasawwuf non è un sistema costituito da regole o da scienze, ma comportamento: (ciò equivale a dire che) se fosse una regola, potrebbe esser fatto proprio con lo sforzo accanito, e se fosse una scienza, potrebbe essere acquisito con l’istruzione; è invece un comportamento (analogico). Formatevi sull’azione di Alláh! Ma è impossibile adeguarsi all’azione di Allàh per mezzo di regole o di scienze. (T.A.).

-  li tasawwuf è libertà, generosità, assenza di autorepressione, e liberalità. (T.A.).

-  Il tasawwuf è rinunciare a ogni acquisizione egoistica per conquistare la Verità. (T.A.).

-  Il tasawwuf è odio per il mondo e desiderio del Signore. (T.A.).

 

GIUNAID AL-BAGHDADI   (+ 297 E.)
– E’ questo (il tasawwuf): che la Verità (al-Haqq) – cioè Alláh – ti farà morire a te stesso e ti farà vivere in Lui. (R., 148).

- Il tasawwuf è questo: essere con Alláh senza attaccamenti per nulla che non sia Lui. (R., 149).

- Essi (i sùfi) sono una (sola) famiglia: fra di loro non penetrano estranei.

- Il tasawwuf è dhikr (incantazione) non concentrazione, e « percezione spirituale » (wagd) connessa all’audizione (del Corano, degli ahadith, di testi tradizionali), e pratica (dei riti) accompagnata dalla conformità (al Corano e alla Sunna). (R. 149).

- Il súfi è come la terra, sulla quale si gettano ogni sorta di immondezze e che produce soltanto cose buone. (R. 149).

- In verità egli (il súfi) è come la terra, calpestata dai pii e dai malvagi, e come le nubi, la cui ombra si estende su ogni cosa, e come la pioggia che bagna ogni cosa (senza distinzione). (R., 149).

- Il tasawwuf è essere eletti per purezza. Chiunque sia scelto in tal modo (e reso puro) da tutto eccetto Allàh, è un sùfi. (T.A.).

- Il súfi è colui di cui il cuore, come quello di Abramo, ha trovato scampo dal mondo e adempie al comandamento di Allàh; la sua rassegnazione è la rassegnazione di Ismaele; la sua pena è quella di Davide; la sua povertà quella di Gesú; il suo desiderio è il desiderio di Mosè nell’ora della sua intima relazione spirituale con Allàh; e la sua sincerità è quella di Muhammad – Allàh benedica lui e la sua famiglia e conceda loro la Pace!  (T.A.).

- Il tasawwuf è un attributo in cui l’uomo risiede. Gli domandarono: «E’ un attributo di Alláh o delle creature? ». Rispose: « La sua essenza è un attributo di Allàh e la sua manifestazione un attributo degli umani ». (T.A.).

- Gli domandarono dell’essenza del tasawwuf. Rispose: « Accontentatevi di afferrare l’apparenza (l’aspetto esteriore) del tasawwuf e non chiedete della sua essenza sarebbe fargli indebita violenza ». (T.A.).

- I sùfi sono coloro la cui esistenza è opera di Alláh in un modo che nessuno conosce, tranne Lui. (T.A.).

- Il tasawwuf è: purificare il proprio cuore dall’insorgere periodico delle debolezze innate, abbandonare le proprie caratteristiche naturali, estinguere gli attributi della natura umana, mantenersi lontani dalle tentazioni dei sensi, dimorare con gli attributi spirituali, innalzarsi per mezzo delle scienze divine, praticare ciò che è eternamente migliore, gratificare del proprio consiglio sincero tutta la gente, osservare fedelmente la Verità e seguire l’esempio del Profeta nell’osservanza della Legge. (T.A.).

 

MIMSCIAD AD-DINAWARI (+ 299 E.)
– Il tasawwuf è purificazione del cuore, è fare ciò che piace ad Alláh l’Altissimo e non avere volizioni proprie quand’anche si abbia commercio con gli uomini. (T.A.).

- Il tasawwuf è mostrare le proprie ricchezze (esteriori), sí da celare il proprio stato spirituale alla gente, e astenersi da tutto ciò che è inutile. (T.A.).

ABU BAKR AL-KATTANI (+ 322 E.)
-  Il tasawwuf è buona disposizione: colui che ti supera in quanto a buona disposizione, ti ha superato in quanto a purezza di cuore. (R.,149).

- Il tasawwuf è purezza e intuizione intellettuale. (T.A.).

- Il sùfi è colui che considera le proprie opere di devozione come una colpa di cui deve richiedere il perdono di Alláh.(T.A.).

 

ABU  ‘ALI AL-RUDHBARI (+ 322 E.)
 - Il tasawwuf è giungere alla porta dell’Amato (Allàh) e mantenervisi, anche se si è spinti ad abbandonarla. (R., 149).

 -  Disse pure: « E’ la purezza della prossimità dopo la contaminazione dell’allontanamento ». (R., I49).

 -  Il sùfi è colui che si veste di lana con purezza di cuore, e fa gustate al proprio «io » il cibo dei maltrattamenti, e si getta il mondo dietro le spalle e procede sul sentiero di Mustafà, il Profeta Muhammad. (T.A.).

 

‘ABDULLAH BEN MUHAMMAD AL-MURTA’ISC (+ 328 E.)
– Gli domandarono: « Cos’è il tasawwuf ? » Rispose: «E’ sottigliezza e difficoltà di cammino e occultamento ». (Nafaba’tu-I-Uns, 2 3 o).

- Il sùfi è colui che diviene privo di tribolazioni e di doti individuali. (T.A.)

 

ABUL-HASAN AL-MUZAYYIN (+328 E.)                                                                                                      – Il tasawwuf è lasciare che il proprio “sè” sia ricondotto alla Verità. (R.149).

ABU ‘ABDALLAH BEN KHAFIF (+ 331 .)                                                                                                     – Il tasawwuf è pazienza sotto i colpi del destino, accettazione di ciò che proviene dalla mano dell’Altissimo e proseguire nel proprio cammino per deserti e alture. (T.A.)

ABU BAKR AL–WASITI (+ dopo 320 E.)
– Il súfi è colui che parla soltanto dopo aver riflettuto, e il cuore del quale è stato illuminato dalla meditazione (T.A.).

ABU  BAKR ASC-SCIBLI (+ 334 E.)
– Il tasawwuf è stare con Allàh senza preoccupazione. (R., I49).

- Il súfi è separato dall’umanità e unito ad Allàh, in quanto Alláh ha detto. « E ti ho scelto per
me » , per poi aggiungere: « Ma tu non mi vedrai “‘. (R., 149).

- Il tasawwuf è un lampo accecante. (R., 149).

- I sùfi sono i figli prediletti di Allàh. (R., 149).

- E’  (il tasawwuf) essere protetti contro la visione del mondo fenomenico. (R., 149).

- Il tasawwuf consiste nel ristabilirsi nello stato di equilibrio di prima che si entrasse nell’esistenza. (T.A.).

- Il tasawwuf è controllo delle proprie facoltà e vigilanza sul proprio respiro. (T.A.).

- Il sùfi è veramente tale quando considera l’intero genere umano come la propria famiglia. (T.A.).

 

ABU SA’ID IBNU-L-’ARABI (+ 340 E.)
– Tutto il tasawwuf è nell’abbandono di quel che è superfluo. (Nafahàtu-l-Uns, 248).

 ABU-L-HASAN AL-BUSCIANGI (+ 347 E.)
– A coloro che domandavano cos’era il tasawwuf, rispondeva: «Mancanza di speranza e incessante dedizione allo sforzo ». (T.A.).

GIAFAR AL KHULDI (+ 348 E.)
– Il tasawwuf è assoggettare la propria individualità e liberarsi dal proprio stato di umanità, e guardare verso Alláh con interezza. (T.A.).

ABU ‘AMR BEN AN-NAGID (+ 366 E.)
– Il tasawwuf è essere pazienti sotto il comando e la proibizione. (T.A.).

ABU ‘ABDALLAHA AR-RUDHBARI (+ 369 E.)
– Il tasawwuf è rinuncia delle cerimonie, pratica dell’eleganza apparente e abbandono della vanagloria. (Nafahàtu-I-Uns, 300).

ABU MUHAMMAD AR-RASIBI (+ 367 E.)
 - Il sùfi non è tale fino a che nessuna terra non lo sostenga piú e nessun cielo lo ricopra; non è tale finché l’umanità non gli si opponga; e finché in ogni circostanza egli non faccia ricorso se non ad Alláh. (Nafahàtu-I-Uns, 304).

ABU-L-HASAN AL-HUSRI (+ 37i E.)
-  Il Califfo gli domandò: «Che cos’è il tasawwuf? ». Egli rispose: «E’ questo: il  sùfi non dovrà avere riposo o conforto in nulla al mondo che non sia Allàh, e dovrà rimettere tutto ciò che lo riguarda a Colui che è Signore e che gli assicura ciò che ha Egli stesso predestinato. Che cosa resta dopo Alláh se non l’errore? E quando avrà trovato il Signore, non terrà piú conto di nient’altro ». (T.A.).

-  Il sùfi è colui che, essendo morto una volta per tutte alle contaminazioni dei mondo, non ritorna indietro, e avendo una volta per tutte rivolto la faccia ad Allàh, non la distoglie piú; e le cose che passano non lo toccano in nessun modo. (T.A.).

-  Sùfi è colui la cui percezione spirituale (wagd) è l’esistenza reale, e i cui attributi sono il suo velo; in altre parole, se un uomo conosce se stesso, conosce il proprio Signore. (T.A.).

- Sùfi è colui del quale gli uomini non sanno vedere l’esistenza paragonandola alla loro propria. (T.A.).

- Il tasawwuf è avere il cuore purificato dalle contaminazioni delle opposizioni. (T.A.).

 

ABU ‘UTHMAN AL-MAGHRIBI (+ 373 E.)
– Il tasawwuf è taglio dei legami e rigetto delle cose create, e unione con le realtà divine (haqàiq). (T.A.).

ABU-L-HASAN AL-KHURQANI (+ 425 E.)
– Il súfi non è tale per il mantello rappezzato e per il tappeto di preghiera; egli non è tale in virtú di regole e di usanze; il vero sùfi è colui che non è piú nulla. (Nafahàtu-I-Uns, 337).

- Il sùfi è un giorno che non ha bisogno di sole, e una notte che non ha bisogno di luna o di stelle, e un non-essere che non ha bisogno di essere. (lbidem).

ABU  SA’ID BEN ABI-L-KHAIR (+ 44o E.)
– Domandarono a questo Sciaikh: « Che cos’è il tasawwuf? ». Rispose. « Abbandonare quel che hai nella testa, donare quel che hai nella mano e non ritrarti da quel che ti sopravviene ».
(Nafahàtu-I-Uns, 345). 


Shaykh ‘Abd al-Qàdir al-Jìlànì (+ 1166 ) uno dei più grandi Sufi. Tratto dal capitolo 6 ( L’esoterismo islamico ed i Sùfi) del suo bellissimo  libro che va al cuore,  che consiglio di leggere, : “Il segreto dei segreti”- Sirr al-asràr-  di ‘Abd al-Qàdir al-Jìlàn  – Edizioni L’Ottava :
 
Il termine “Sufi” è derivato dalla parola araba sàfa , che significa “puro”. La ragione per cui i Sùfi sono chiamati in questo modo è che il loro intimo è stato purificato ed illuminato con la luce della Gnosi e dell’Unità divina (tawhid). Un’altra ragione di questo appellativo è il loro legame spirituale con quei Compagni del Profeta  chiamati “ahl as-suffa ” che significa “gente della veranda”, coloro che vivevano in assoluta povertà in un’area della moschea di Medina dediti esclusivamente alla pratica ascetica.  Lo Shaykh al-Qàdir al -Jìlànì, descrive poi in modo “magistrale” cos’è il tasawwuf partendo dalle lettere delle stessa parola: In arabo la parola “tasawwuf” (l’esoterismo islamico), è composta da quattro consonanti : T,  S,  W,  F, che significano: La prima lettera T stà per Tawba, ovvero “pentimento”, che è il primo passo sulla Via. E’ come se si trattasse di un doppio passo, uno esteriore ed uno interiore: l’esteriore consiste nel pentimento relativo alle parole , agli atti ed ai sentimenti, mantenendo la propria vita scevra di peccati e di atti illeciti, perseguendo l’obbedienza, rifuggendo rivolta ed opposizione  per cercare accordo ed armonia. Il passo interiore del pentimento è un atto del cuore consistente nel purificarlo dai desideri per le cose di questo mondo  e nella sua completa dedizione al Divino.Il secondo grado è lo stato di gioia e purezza , safà ed è simboleggiato dalla lettera S. nche in questo grado vi sono due passi da fare: il primo verso la purezza del cuore, il secondo verso il suo centro nascosto. La purezza del cuore (safà al-qalb) proviene da un cuore che si è liberato dall’ansia provocata dal peso delle preoccupazioni mondane per il cibo, per il bere, per il dormire, per i vani discorsi. Il modo per liberare il cuore e purificarlo è quello del ricordo (dhikr) di Allàh. La terza lettera W, stà per la parola walàya, che è lo stato di santità degli amanti di Allàh e dipende dalla purezza interiore. Allàh menziona i Suoi amici (awliyà) nel Sacro Corano: “Invero sugli amici di Allàh non vi è timore nè essi sono rattristati.” , “Per costoro vi sono delle buone novelle in questo mondo e nell’altro.” (Cor. 10 – 62,64). L’effetto visibile di tale stato è l’essere abbellito con i più bei tratti del carattere , con le virtù ed i buoni costumi; si tratta dell’elargizione di un dono divino. Il Profeta (s.a.s.) ha detto: “Caratterizzatevi con i tratti divini“.La quarta lettera  F, stà per fanà , l’estinzione dell’io, lo stato di annientamento in Allàh , ovvero a tutto ciò che non è Allàh. Quando gli attributi della natura umana si estinguono ed il falso io svanisce assieme alla molteplicità degli attributi e delle forme di questo mondo, allora non sussistono più che gli Attributi dell’Unità (sifàt al-ahadiyya). Questa è la stazione dei Profeti e dei Santi, gli amici di Allàh, situata nel dominio della Natura divina (làhùt).Quando l’esistenza contingente è unita all’esistenza eterna, non può essere più concepita come un’esistenza separata; quando tutti i legami terreni sono abbandonati e si è in unione con Allàh, con la Realtà divina, si riceve una eterna purezza , non si può più essere biasimati e si diventa uno dei “compagni del giardino, dove dimorano per sempre” (Cor.VII, 42), “coloro che credono ed operano rettamente” (ibid.) . Tuttavia ”Noi (Allàh) non poniamo alcun peso sull’anima che essa non possa sopportare “ (ibid).
L’uomo deve soltanto possedere una instancabile pazienza . “Ed Allàh è con coloro che con pazienza perseverano” (Cor. VIII,66).

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Gli Ashishin, i cavalieri del Mahdi

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Di Mike Plato

Nel corso di due secoli di crociate, cavalieri francesi e guerrieri musulmani si affrontarono in campo aperto, ma una parte di entrambi gli schieramenti, in gran segreto, fraternizzarono e si incontrarono su un terreno molto diverso dal campo di battaglia: erano i Templari e gli Ashishin, conosciuti in occidente come Assassini. E’ documentato che il XVII Gran Maestro del Tempio, Guillaume de Sonnac, era legato da amicizia profonda col sultano del Cairo. Questa la verità ufficiale, ma c’era ben altro. I Templari (il cui Ordine era espressione dell’Ordine di Melkizedek in occidente, la cavalleria terrestre specchio della Cavalleria Celeste guidata dall’arcangelo Michele) erano in oriente per diversi scopi occulti, fra i quali fraternizzare con i fratelli iniziati arabi e scambiare informazioni preziose relative alla scienza sacra che entrambi coltivavano nel segreto. Nè l’ortodossia musulmana né quella cattolica sapevano che all’interno degli ordini sacri vi fossero potenti nuclei esoterici dediti all’alchimia e alla magia cerimoniale. Per due secoli, i Templari nascosero la verità del nucleo segreto noto come “Figli della Valle”, e solo quando trapelarono notizie, ancorché distorte, delle attività iniziatiche del nucleo ristretto, fu l’inizio della fine e gli squali si avventarono sul Tempio.  Analogo problema riguardava i loro “fratelli” musulmani gli “Ashishin”, noti come Ismailiti di Alamut o Batiniti (in arabo “seguaci di dottrine esoteriche”). Gli Ashishin furono l’Ordine musulmano con cui il Tempio contrasse legami di fraternità. I Vescovi di Roma non potevano tollerare che Cristiani, quali erano i Templari, avessero rapporti con infedeli islamici, né potevano capire perché ciò potesse accadere. Ma ciò accadeva, semplicemente perché questi due gruppi ermetici erano veri Fratelli in Spirito, membri segreti della “cavalleria celeste”. In verità, furono soprattutto gli Ashishin ad istruire i Templari sulla Tradizione e su tutte quelle informazioni e quei segreti ermetici che permisero un nuovo sviluppo in occidente.

La voce di Marco Polo
marcopolo.jpgMa chi erano realmente questi fantomatici Ashishin, tramandati dalla storia come implacabili killer dediti al misticismo? Nel Capitolo 31 de Il Milione, Marco Polo tratta il tema del “Prete Gianni” (1), che in un altro articolo abbiamo descritto come associabile al Re di Giustizia Melkitzedeq e al suo sacerdozio eterno (2). A questi era legato il gruppo mistico arabo degli Ashishin. Il capitolo viene denominato: “Del Veglio della Montagna e come fece il Paradiso e gli Assassini”. Vale la pena citare qualche passo per capire ancor meglio la Tradizione del Melkitzedeq, del Re di Giustizia tra gli Ashishin e le motivazioni occulte dell’Ordine. Tra parentesi ho inserito la spiegazione simbolica di alcuni passi: “Mulehet è una contrada nella quale anticamente soleva dimorare il Veglio (il Vecchio) detto della Montagna, perchè questo nome di Mulehet è come dire “luogo dove sono gli eretici”, nella lingua saracena (…). Ora vi racconteremo l’affare come Marco la intese da più uomini. Il Veglio è chiamato nella loro lingua Aloodyn (Aladino). Egli aveva fatto fare tra due montagne (le colonne del Tempio) in una valle il più bello e il più grande giardino del mondo(…). Ed in questo giardino non entrava se non colui che egli voleva fare Assassino. (…) Quando il Veglio li faceva entrare nel giardino, (…) egli faceva loro bere oppio, e quegli dormivano ben tre giorni (i tre giorni di buio). Quando i giovani si svegliavano (la rinascita), credevano di essere in paradiso. Il Veglio ha una bella e ricca corte e fa credere a quelli di quella montagna che egli era il Profeta di Dio (il Re-Sacerdote archetipale). E quando egli vuol mandare qualcuno di quei giovani in un preciso luogo, lo fa bere per addormentarlo, e lo invia fuori dal giardino. Quando quelli si svegliano e si trovano fuori, si meravigliano e sono molto tristi nel trovarsi fuori dal Paradiso, ed hanno gran voglia di tornarvi. E quando il Veglio vuole far uccidere qualcuno, sceglie l’adepto adatto allo scopo; e colui lo fa volentieri per ritornare nel paradiso (…) E quando il Veglio vuole far uccidere qualcuno, egli lo prende e dice: “Và, fa tal cosa, e questo te lo fò fare perchè ti voglio far ritornare al paradiso”. E gli Assassini vanno e lo fanno molto volentieri. Nessuno temeva la morte purchè facessero il comandamento e volontà del detto veglio, e si esponevano a ogni manifesto pericolo, disprezzando la vita presente; (…) E aveva costituito due suoi vicari (o meglio, vicariati), uno dalle parti di Damasco (cioè a Qumran, gli Esseni –) e l’altro in Kurdistan (gli Yezidi), che osservavano il medesimo ordine con li giovani che egli mandava”.

 

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Non consumavano Hashish
Il regno di cui si parla nel testo è un regno metafisico, un Reame superiore associabile alla Salem biblica o alla Agartha tibetana [3], cioè la dimora ultraterrena delle anime dei Giusti. Ma esisteva anche una dimora fisica rappresentante sulla terra di questo regno metafisico, cioé Alamut (dall’arabo aluh amut, nido dell’aquila), la Rocca ritenuta imprendibile, dimora del Gran Maestro degli Ashishin, Hasan Ibn Sabbah, il rappresentante terreno del Melkitzedeq-Prete Gianni, che organizzò la fratellanza di guerrieri nel 1090 circa. Marco Polo non aveva conoscenza iniziatica sufficiente per comprendere i fini dei misteriosi e temuti Ashishin. Si limitò a tramandare notizie di seconda mano, interpretandole secondo il suo metro letterale, e altrettanto fecero altri dopo di lui. Ancora nel XIX secolo Hammer-Purgstall, in Geshichte der Assassinen proiettò sugli Ismailiti il suo odio contro le società segrete, gettando le stesse assurde accuse che in Europa si attribuivano ai Templari e ai Massoni. In tutto il libro, aleggiano espressioni come “la loro dottrina odiosa”, “la loro dottrina malvagia e immorale”, “criminali divulgatori dell’ateismo”. Si deve poi a Silvestre de Sacy, nel suo Trattato sulla Religione dei Drusi, l’erronea etimologia del termine Ashishin dal presunto consumo di ashish da parte di questi cavalieri mistici. In realtà l’uso di droghe è sempre stato vietato ai membri di una comunità esoterica. L’uso di queste sostanze non si confà al principio della “vigilanza” che contraddistingue gli iniziati e gli Ashishin non facevano certo eccezione. Molti studiosi hanno sostenuto e dimostrato in maniera convincente che le espressioni “mangiatori o consumatori di hashish” venissero utilizzate solo dai nemici degli Ismailiti, mentre non compaiono nelle fonti e nelle cronache musulmane. Tali espressioni furono usate solo nel senso dispreggiativo di “nemici” o di “persone non raccomandabili”. I vertici erano formati, in realtà, da potenti alchimisti il cui obiettivo era la trasmutazione umana.  Il termine Ashish o Ashash proverrebbe dal termine arabo “Asas”, Guardiano o Vigilante. Questo a sua volta, ritengo abbia origine da uno dei nomi di Melkizedek, “Azaz-El”, cioè “Dio Guardiano”, perché Azazel-Semeyaza era conosciuto nel Libro di Enoch come il Capo dei Vigilanti. Ciò associerebbe gli Ashashin alla Tradizione essena del Melkizedek (sebbene sul versante islamico), che essi codificavano con il termine “Vecchio della Montagna”. Non solo. Un ulteriore e importante livello di interpretazione è il termine arabo “Hazaz” o “Hasas” che significa “Forte”, in linea con l’appellativo degli esseni come i “Figli della Forza”.

Futuwwat, la cavalleria

Se è vero che la mistica del Graal e il segreto della Pietra alchemica furono custoditi dai “muslin” iniziati prima ancora che dai Templari, non temo di sbagliare nell’identificare negli Ashishin il segreto Ordine del Graal operante in ambito islamico e autorità iniziatica assoluta in quel preciso momento storico. E’ noto che al confronto dell’Europa dell’anno 1000, la cultura araba sembrava avanti di cinque secoli sotto diversi aspetti. Grande dev’essere stata la sorpresa dei nove primi templari quando furono ammessi in un mondo che non immaginavano così avanzato. Fu forse Hasan Ibn Sabbah, il Gran Maestro del tempio Ashishin, che Ugo de Payns e gli altri Templari fondatori conobbero come Maestro Assoluto e loro iniziatore? Lo ritengo probabile e se ne trova traccia occulta nel romanzo del ciclo del Graal, Parzival, del templare Wolfram Von Eschenback, in cui Gahmureth, figlio di una razza eletta, per compiere il suo voto di cavalleria celeste, viene posto al servizio della più alta autorità spirituale conosciuta che non era il Papa bensì il Califfo di Baghdad, dietro cui si cela il principio assoluto del Melkitzedeq, interpretato da Ibn Arabi e da tutto il sufismo come il Khalifah totalizzante (l’Uomo Cosmico), ovvero il Baruk, il nome che l’Islam esoterico dava al Re del Mondo. Ricordo che un altro nome di Baghdad è “Dar es-Salam (Casa della Pace)” che, insieme alla Jeru-Salem (la città della Pace), è il simbolo della Salem archetipica, il Regno Primordiale e Centro Spirituale Supremo del Re di Giustizia Melkitzedeq.
Gli Ashishin erano la branca militare-cavalleresca dell’Ismalismo, ma un ismailismo riformato e a forte contenuto iniziatico. Il termine arabo “futuwwat” (cavalleria) racchiude una serie di significati che nell’insieme sono gioventù, ardimento, generosità, energia, attitudine al combattimento, e annientamento del proprio ego in funzione del conseguimento di una spiritualità superiore. La varietà dei valori cavallereschi è troppo ampia per essere qui descritta. E’ anche difficile citare le oltre duecento definizioni del fondamentale “Libro della Cavalleria”, scritto intorno all’anno mille da Abd ar-Rashman as-Sulami, uno dei primi e più popolari maestri sufi della civiltà islamica. Il Fata (cavaliere) deve essere dotato di coraggio, e consapevole che il suo obiettivo ultimo è l’annullamento in Dio. La Futuwwat, la cavalleria, è un principio iniziatico–esoterico, è una via mistico-ascetica; è come scrive Abu Hafs “procedere alla distruzione degli idoli, ove l’idolo è l’uomo stesso, il suo corpo-simulacro”. Per il cavaliere iniziato musulmano, il fine era l’edificazione del tempio interiore, come per i Templari era l’edificazione della Gerusalemme Celeste interiore. Il Fata (cavaliere) era investito di questo da un Maestro Spirituale o Capo di un’organizzazione iniziatica, detto Shaykh. Lo Shaykh era sostanzialmente un “Risvegliato”. E’ un termine palesemente simile al termine “Shaqin”, che indica la “Viva Presenza di Dio”. I Sufi arabi lo chiamavano “Shaykh Pir (Saggia Guida)”.

Menzogne e gnosi
Il quadro generale dell’Islam dell’XI sec. non è quello di una società monolitica comparabile al cristianesimo della stessa epoca. Se la tradizione sunnita è ortodossa e religiosa, lo sciismo ismailita si orienta verso la mistica e il sistema iniziatico-alchemico: in breve verso l’ermetismo, verso quella sacra e segreta Tradizione che punta alla fusione dell’umano col divino. Lo sciismo ismailita era l’esoterismo dell’Islam e il suo credo era il versetto coranico: “Noi proponemmo il deposito dei nostri segreti ai cieli e alla terra e ai monti. Ma solo l’uomo accettò di incaricarsene. E’ un violento e un incosciente (33:72)”. Questo verso che fu assunto anche da Pico della Mirandola come pietra di fondamento del suo De Dignitate Hominis, illustra il motivo strutturante della nascita degli Ashishin così come dei Templari: la custodia della Terra Santa, termine iniziatico per indicare la vigilanza sulla propria anima, e la difesa del deposito della Tradizione Primordiale e della scienza sacra, le cui chiavi riconducono l’uomo alla sua originaria condizione divina, riscattandolo dalla condizione di Angelo caduto nella materia. Insomma, agli inizi del secondo millennio, il sacro deposito della Tradizione fu custodito e tramandato, in medio oriente e in occidente, da due ordini a carattere cavalleresco-guerriero, onde proteggerlo con ogni mezzo necessario. Il compito fu ben assolto, pur avendo subìto i due ordini una macchinazione denigratoria senza eguali, accusati di essere adoratori del Diavolo, maghi neri o spietati killer fedeli ad un satanico “Veglio della Montagna”. Le descrizioni e le fantasie medievali di autori come Marco Polo hanno creato una leggenda che le moderne ricerche storiche stentano a dissipare, e ancor oggi molti disinformati, o avversari della gnosi sacra, perseverano nel raccontare menzogne su queste fratellanze. Al contrario, Maurice Bouisson, nel suo Magic, Its Rites and History, sebbene gli Assassini vi assumano un ruolo marginale, dedica un intero capitolo al loro Gran Maestro. L’autore suggerisce di tornare alle “teorie magiche del vicino oriente” del secolo XI, dove c’era “una fratellanza straordinaria e un mago (cioè Hasan Ibn Sabbah, il Gran Maestro N.d.A.) la cui vita non ha bisogno di essere romanticizzata”.

La Grande Resurrezione
hasan.jpgHasan era un erudito, impregnato di mistica sufi e dotato di un carisma eccezionale. Il suo processo di conversione iniziò durante una “severa e pericolosa malattia”. Nel resoconto auto-biografico della sua vita, il Sar-Guzasht-i-Sayddna (Avventure del nostro Signore), Hasan scrive che durante la malattia gli sembrò che Dio desiderasse che la sua carne e il suo sangue divenissero qualcosa di diverso: “Dio cambiò la sua carne in qualcosa di meglio che la sua carne e il suo sangue in qualcosa di meglio che il suo sangue”. Si tratta del fine della Grande Opera dell’alchimia: la transustanziazione dell’anima carnale. Il pensiero di morire senza accettare questa verità rivelata e poterla compiere, fu sufficiente a farlo convertire e a riprendersi dalla sua malattia, ottenendo l’iniziazione nella Gran Loggia Ismailita, se è vero quanto documentato da Hammer-Purgstall. Hasan era un prodigio nello studio della teologia e il suo grado di erudizione sorprendente. Egli divenne Gran Maestro di Alamut nel 1162, organizzando gli Ismailiti come un vero Ordine esoterico, una Batiniyya – gli Interni o Esoterici – come da sempre vengono chiamati gli Iniziati. Fu un rivoluzionario geniale, poiché elaborò e mise in pratica la nuova dottrina (da’wa) degli IsmaIiti, che progressivamente prese il posto della vecchia dottrina fatimida del Cairo.  Nel 1164, egli proclamò la Grande Resurrezione (Qiyamat al Qyiyamat) davanti a tutti gli adepti riuniti sulla terrazza più alta di Alamut. In qualità di Imam e di Mawlana (nostro Signore), dichiarò che il vero ed eterno Imam (Guida interiore, il Melkitzedeq) è l’Hojjat supremo, il garante che risponde per la divinità inconoscibile, il Portatore di Luce e Verità in ogni tempo. Se il Corano insegna che “chi conosce sé stesso conosce il suo Signore”, analogamente gli Ismailiti di Alamut affermavano che “chi conosce sé stesso, conosce il suo Imam”, e “colui che muore senza aver conosciuto il suo Imam, muore della morte degli incoscienti”.  Gli Ismailiti di Alamut erano decisamente più avanzati spiritualmente degli Ismailiti Fatimidi. Se per questi ultimi, il profeta (Maometto) che porta la Legge era la prima autorità, per i primi la vera autorità era l’Imam interiore a cui va incontro il profeta di ogni epoca, proprio come Giovanni Battista andò incontro al Gesù del suo essere e Gesù andò incontro al Cristo. Se volessimo trasporre la dottrina di Alamut nelle vicende misteriche dei Vangeli, ne dedurremmo che Giovanni, Gesù e Cristo (uomo o profeta carnale, anima e spirito) sono il Profeta, l’Hojjat e l’Imam : tre in uno, il Trismegisto, i tre che si sintetizzano nell’Uno. La vera Guida non è il Nabi (Giovanni o Maometto), tant’è che Giovanni dice che “verrà uno dopo di me” ma l’Imam eterno nascosto in lui, il Cristo. In tal senso, non è la Legge portata dal profeta legislatore Nabi Rasul ad avere la supremazia ma la via iniziatica (walayat), che è la vera fonte della legge, perché la legge è solo l’aspetto esteriore di una dottrina eterna e immodificabile, espressione materiale ed esteriore di ben altra legge interiore che si manifesta in questo piano e si adegua alle mutazioni dei tempi. La proclamazione di Hasan implicava l’avvento di un puro Islam spirituale, libero da ogni spirito legalitario, da ogni schiavitù rispetto alla Legge religiosa (la shari’at o dogma), l’avvento di una religione personale della Resurrezione che è rinascita spirituale, poiché permette di scoprire e vivere il senso interno delle Rivelazioni profetiche. La rivoluzione di Alamut era una dichiarazione di guerra al sistema-mondo, gestito da potenti forze demoniche, attraverso un’insurrezione dello spirito contro ogni servitù, materiale o astrale che fosse. Si voleva convincere gli esseri umani che l’unico modo per sfuggire alla schiavitù delle Potenze astrali era la scienza iniziatica tesa all’unione dell’elemento umano con quello divino, e non la sterile adesione al dogma. Questa doveva essere la grande Rivoluzione proclamata da Hasan Ibn Sabbah. Non è difficile immaginare che fosse anche questo uno degli obiettivi segreti e basilari dell’attività dell’Ordine del Tempio nell’occidente cattolico, oppresso dal dogma, e ciò spiega l’intima fratellanza fra i due Ordini, aggrediti poi dalle autorità religiose e politiche, più o meno nello stesso momento storico.  Hasan Ibn Sabbah per 35 anni diresse la fratellanza dalla sua fortezza di Alamut, sul massiccio dell’Elbruz a ridosso del Mar Caspio, ove gli Assassini vivevano in uno stato di ascetismo e austerità. Mai si allontanò dalla fortezza in cui organizzò un’imponente biblioteca esoterica. Hassan era chiamato “Sayddna (Signore)” e “Shayk al Jebel (Signore della Montagna)” poiché era il Re-Sacerdote-Maestro della Comunità. Egli stava ai suoi come Melkitzedeq sta a tutti Figli della Luce dispersi in questo piano.  La fortezza, come le altre commende ismailite in Iran, venne distrutta dai Mongoli nel 1256. L’ultimo Gran Maestro, Hasan II, morì pugnalato da congiurati fedeli all’ortodossia islamica. Gli Assassini furono perseguitati e dispersi definitivamente all’inizio del ‘300, proprio mentre i fratelli templari venivano spazzati via in Europa. Ma questo non segnò affatto la fine dell’Ismailismo riformato di Alamut, il quale non fece che rientrare nella clandestinità prendendo il mantello del sufismo.

 

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Tempalri e Asshishin: Fratelli
L’Ordine degli Ashishin riposava su due poli: lo studio del Corano e della Bibbia in un’ottica ermetica (batin, livello di interpretazione spirituale) e il nobile esercizio delle armi. Sospette similitudini vi erano con l’Ordine dei Templari: rifiutavano le lettere e ponevano l’accento sul simbolo piuttosto che sulla scorza letterale, e si lanciarono nell’investigazione di tutti i territori della ricerca spirituale. L’Islam ortodosso non poteva accettare un simile orientamento. Inoltre con i Templari condividevano gli stessi tempi di manifestazione, la medesima pratica iniziatica basata su di un codice cavalleresco, l’obbedienza assoluta ad una gerarchia interna specchio di quella celeste, l’esistenza di un Ordine interno costituito da sette membri conosciuti e da sette sconosciuti. Questi sette erano il corrispondente dei sette “abdal” della scienza iniziatica sufi: i sette cieli o sette virtù risanatrici. Infine un’organizzazione similare: Refik-Cavalieri, Fedavi-Scudieri, Lassik-Sergenti, Daikebir-Priori, Dais-Gran Priori, Sheyk al Djebel-Gran Maestro. I loro colori simbolici, rosso e bianco, erano i medesimi. La sparizione dei due ordini fu quasi simultanea.
La Cerca dell’Imam rappresentava per gli ismaeliti ciò che la Cerca del Graal rappresentava per i Cavalieri mistici occidentali. Erano entrambi custodi di Pace e Giustizia. Entrambi i gruppi conoscevano il senso segreto delle sacre scritture, tenendo conto che gli Ordini studiavano Bibbia e Corano. L’intesa tra i due Ordini era strettissima, volta all’elaborazione di un sincretismo filosofico tra la mezzaluna e la croce, sul quale realizzare l’utopia della pacificazione universale che il qabalista cristiano Pico della Mirandola, qualche secolo più tardi, idealizzò con la “pax unifica”. Perfino il simbolo essenziale dei due Ordini era comune: la coppa del Graal e la coppa del Futuwwat, usata per la bevuta rituale nel banchetto iniziatico del nuovo cavaliere investito (fata). Entrambi si ricollegano alla tradizione del “cratere (coppa)” citata nel Corpo Ermetico, e alla tradizione del “calderone” celtico, tradizione che invita gli uomini di buona volontà ad immergersi in esso per emergerne trasmutati e purificati. Gli Assassini usavano indossare anche un berretto frigio rosso, segno della loro affiliazione ai più antichi misteri di Mithra e di qui a quelli iranici-zoroastriani. Cooper e Oakley, in Massoneria e Simbolismo Medievale, sostenevano non a torto che i Templari conquistarono tutti i possedimenti del Vecchio della Montagna perché avevano intuito il “coraggio soprannaturale”  degli Assassini. I fida’i (iniziati guerrieri) pare fossero ammessi nell’Ordine del Tempio e successivamente i Templari stessi accettarono le regole e le istituzioni degli Assassini che avevano sottomesso. E’ noto che i templari spagnoli, dopo i processi di condanna al Tempio, passarono in blocco ai Saraceni, anziché confluire in altri ordini occidentali. In realtà, essendo fratelli, si dovrebbe parlare di integrazione reciproca e non di sottomissione. Il libro svela anche che il templare Gauthier von Montbar era pratico degli insegnamenti misterici legati all’Islam e li trapiantò in Europa. Molti esperti sostengono l’anomalia e l’atipicità dei due ordini. Ovviamente, si tratta di Ordini legati strettamente al superiore Ordine della Luce di Melkitzedeq e ad una catena iniziatica che affonda le sue radici in un tempo remoto; ordini la cui finalità è ignota alla maggioranza, e che invece consisteva nel portare luce in un sistema ancor oggi oscuro, e destinato a continuare il filo della Tradizione Primordiale. Hammer-Purgstall, che pure aveva dissacrato gli Assassini, rivelò una notizia inaspettata che poco ha a che vedere con le menzogne narrate, ma che conferma piuttosto le reali finalità della Fratellanza. Egli affermò che le antiche dottrine esoteriche dei sacerdoti egizi furono trasferite nel medioevo agli Ismailiti di Alamut: “L’intero corpo delle pratiche occulte e dei segreti degli antichi sacerdoti egiziani come l’alchimia, la rabdomanzia, la ricerca della pietra filosofale e l’uso di talismani, furono trasferiti dall’antica accademia di Heliopoli alla “Casa o Fortezza della Scienza (il corrispondente delle Case di Vita degli egizi) degli Ismailiti”. Hammer-Purgstall rivelò che nel 1004, sotto la dinastia dei fatimidi, fu fondata la Loggia del Cairo allo scopo di preservare questi segreti. Da quel momento, il Capo (Da’i) degli Ismailiti fu sempre residente al Cairo, ove studiò anche Hasan Ibn Sabbah. Hammer-Purgstall non venne a sapere né peraltro poteva intuire, che furono gli Esseni i veri eredi dei misteri di Eliopoli. Questi misteri furono trasferiti agli Ismailiti per il tramite dei Fratelli Terapeuti egizi e della Scuola Astrale di Harràn.

Assassini dell’Ego
I gradi di iniziazione degli Ashishin erano nove, in accordo con le nove emanazioni corrispondenti alle nove Sephiroth dell’Albero della qabala (3) e alle nove gerarchie celesti della Tradizione. La maggior parte dei membri iniziati erano Da’i, ma in proporzione, la maggior parte degli Ismailiti nel loro insieme appartenevano al settimo gruppo, ai Fida’i. La ben nota fedeltà dei Fida’i, chiamati Martiri, Devoti o Angeli Sterminatori (in senso interiore), ispirò molte leggende. In effetti, i Fida’i iniziati erano i veri “Assassini”, semplicemente perché essi si ispiravano alla figura di Michele, Sacerdote sacrificatore. L’assassinio (martirio) era compiuto nei confronti di sé stessi per far emergere la propria luce interiore e riconquistare lo stato edenico perduto. I fratelli sufi davano a questo processo il nome di Fanà (auto-annientamento) e lo rappresentavano con la grande guerra santa Jiadh da combattere contro gli istinti, le passioni e i vizi della bestia (anima carnale). Per questo Marco Polo, senza capire di cosa parlasse, parlava della promessa fatta da lo Veglio agli assassini di tornare nel Paradiso a missione compiuta, quella stessa missione che fu compiuta da Gesù sacrificatore e sacrificato a sé stesso attraverso l’iter alchemico della Croce. Il pensiero gnostico degli Ismailiti Ashishin puntava decisamente sulla distinzione tra essoterico e il suo senso nascosto, l’esoterico; e poiché questo è superiore a quello, in quanto dalla sua comprensione dipende il progresso spirituale dell’adepto, l’essoterico non è altro che un guscio che va frantumato una volta per tutte. Se l’adepto spirituale agisce in accordo con il senso nascosto spirituale, gli obblighi della scrittura sono aboliti per lui, liberandosi anche dal destino (karma). Le verità esoteriche (haqa’iq), venivano interpretate dal successore di ciascun Profeta Maggiore chiamato Wasi o da un Sami (colui che è silenzioso), il cui compito era di spiegare il batin, il senso occulto delle Scritture e della Legge. Ogni Legato a sua volta era seguito da una serie di sette Imam, il settimo dei quali diventava il successivo Profeta Messaggero della serie. Questa serie ciclica si sarebbe dovuta concludere con l’avvento del Mahdi, l’ultimo dei Profeti Messaggeri, che avrebbe dovuto rendere pubblica la dottrina esoterica, inaugurando un’èra di pura conoscenza spirituale. La teologia ismailita aveva dunque un carattere profetico-apocalittico, alla maniera degli Esseni. Le haqa’iq trascendevano la ragione umana; esse derivavano dalle dottrine gnostiche, e consideravano il mondo fisico e spirituale in termini neo-platonici.  L’apocalisse, per gli Ismailiti come per gli esoteristi illuminati, non è semplicemente il compimento di una prospettiva escatologica, ma è un’insurrezione dello Spirito contro ogni servitù. In effetti, l’apocalisse (rinnovamento) è in primo luogo qualcosa di interiore. Gli iniziati Ashishin puntavano al risveglio, e questa era la loro personale apocalisse. I Templari agiranno sullo stesso solco, sulla base del principio esposto da Gesù, in Giovanni 12:24: “Se il chicco di grano non muore, rimane solo; ma se muore produce molto frutto…Chi ama la sua vita, la perde; chi la odia, la guadagnerà per la vita eterna”. Il vero cavaliere spirituale rinuncia alla sua vita per un bene più grande. Questa era la grandezza dei Cavalieri di Hasan Ibn, Sabbah, grandezza che solo coloro che percorrono lo stesso itinerario spirituale possono comprendere.

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CHE COS’E’ IL SUFISMO

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Brani Scelti Da Un Discorso Pronunciato Alla Sorbonne Nel 1963. (di Dottor Javad Nurbakhsh)

Introdutzione:

Essenza e definizione del Sufismo: L’essenza del Sufismo è la Verità, la definizione del Sufismo è l’esperienza e la realizzazione disinteressata della Verità.

Pratica del Sufismo: Il metodo del Sufismo è l’intenzione e la determinazione ad andare verso la Verità con i mezzi dell’Amore e della devozione. Questo pratica ha per nome Tariqat, la via spirituale o il Cammino verso Dio.

Che cosa è un Sufi: Il Sufi è l’innamorato della Verità; è colui che per mezzo dell’Amore e della devozione, va verso la perfezione di cui tutto il mondo è realmente in cerca. Come lo necessita la dignità dell’Amore, il Sufi si distacca da tutto fuorché dalla Verità Reale. per questa ragione è detto nel sufismo che: “Coloro che sono interessati all’Aldilà non possono dare importanza al mondo materiale. Alla stesso modo, coloro che sono coinvolti nel mondo materiale non possono essere interessati all’Aldilà”. Ma il sufi (per la dignità dell’Amore) è incapace di occuparsi dell’uno o dell’altro di questi due mondi.

Questa stessa idea è espressa da Shebli che diceva: “Colui che muore per amore del mondo materiale, muore da ipocrita. Colui che muore per amore dell’aldilà muore da asceta. Ma colui che muore per Amore della Verità muore da Sufi”.

Il Sufismo

Il sufismo è una scoula di realizzazione etica mediante illuminazione interiore e non mediante ragionamenti intellettualistici; implica rivelazione, testimonianza e non logica.

Per Etica si intende la morale che trascende semplici convenzioni sociali; un modo di essere che è la realizzazione degli Attributi di Dio.

Spiegare cosa è la Verità non è facile. Le parole limitate come sono, non potranno mai esprimere la Perfezione dell’Assoluto, dell’Illiminato. Così in coloro che sono imperfetti nascono dubbi e smarrimenti. Ma se non si può esaurire l’acqua dell”oceano, vi si può almeno smorzare la propria sete.

I filosofi hanno scritto innumerevoli volumi e parlato senza fine della Verità, ma senza essere esaurienti. Per cui vedono solo una parte dell’Assoluto e non l’Infinito nella sua globalità.

E’ infatti vero che i filosofi vedono è giusto; ma non è che una parte dell’insieme. Unanimemente sappiamo che la parte corrisponde al tutto.

A tale proposito ricordo la famosa storia, raccontata da Rumi, di un gruppo di Indù che non avevano mai visto un elefante. Un giorno, giunsero in un luogo in cui ce n’era uno. Nell’oscurità completa si avvicinarono all’animale e ognuno, dopo averlo toccato, descrisse ciò che pensava di aver percepito. Naturalmente le descrizioni erano diverse. Coloro che avevano toccato la zampa dell’animale, pensavano fosse una colonna. Altri, che avevano toccato l’orecchio, dissero che era un ventaglio, altri ancora lo definirono dalla proboscide e così via.

Ciascuna delle descrizioni corrispondeva esattamente alle diverse parti che ognuno aveva toccato, ma la realtà dell’insieme era ben lontana dai singoli concetti. Se avessero avuto una candela, le divergenza di opinioni non sarebbero emerse. La luce avrebbe rivelato nel suo insieme l’elefante. E’ soltanto con la luce della Via spirituale e della Via mistica, che la Verità può realmente essere conosciuta.

L’individuo deve divenire testimonianza della Perfezione dell’Assoluto, perché possa vedere con la vista interiore di chi percepisce la Realtà nella sua interezza.

Questa testimonianza si manifesta quando si diventa perfetti, cioè quando si perde la propria esistenza parziale nel Globale.

Se il tutto può essere paragonato all’Oceano, e la parte a una goccia, il sufi dice che è impossibile vedere l’Oceano con l’occhio della goccia. Tuttavia, quando la goccia si confonde con l’Oceano, può vedere l’Oceano con l’occhio dell’Oceano.

Come è possibile raggiungere la perfezione?

L’uomo è dominato dai sensi e, se permane imprigionato dagli istinti abituali, si allontana dall’armonia e dunque si ammala.

La sua malattia, causa alterazione dei sentimenti e, di conseguenza, pensieri e percezioni diventano incerti.

Così sia la fede che la conoscenza individuale della verità si allontanano dalla realtà.

Per poter progredire verso Perfezione, l’individuo deve, prima di tutto, cambiare il suo modo negativo di pensare e tramutare le sue passioni in virtù. Perché ciò avvenga bisogna armonizzarsi con la Natura Divina. Questa via d’Armonia (la Via Spirituale), consiste nella povertà spirituale; nella devozione e nel ricordo constante di Dio; totalmente dimentico si sé. In questo modo, l’individuo percepisce la Verità quale essa è veramente.

Ascetismo e astinenza nel sufismo

Per poter percorrere la via, il sufi ha bisogno di energia che trae da una buona alimentazione.

E’ stato detto che tutto ciò che il sufi mangia è trasformato in qualità e luce. Mentere il nutrimento di coloro che sono schiavi dei propri desideri e turbamenti non farà che aumentare le pulsioni egoistiche, allontanandoli ancora di più dalla Verità.

A questo proposito, Rumi ha scritto:

Costui mangia e solamente avarizia e invidia ne risultano,
invece costui si nutre e il risultato è la luce dell’Unico.
Quest’altro mangia e gliene viene solo impurità,
mentere quello nutrendosi
diventa luce di Dio.

E’ allora chiaro che il Sufismo non è fondato su pratiche ascetiche come l’astinenza dal cibo. Nella nostra scoula, al viaggiatore sulla via di Dio; viene consigliato di astenersi dal mangiare soltanto quando è malato o preda delle passioni. In questo caso, il Maestro o la Guida Spirituale, lo autorizza ad astenersi dal mangiare per un certo lasso di tempo, consigliandogli di concentrarsi piuttosto su pratiche spirituali.

In questo modo, l’eccesso è trasmutato e l’essere interiore del viaggiatore diventa armonioso. Il darvisc potrà così continuare la sua difficoltosa ascesa verso l’Infinito.

I filosofi che praticano l’induismo, credono che nel digiuno si trovi la forza necessaria per la purificazione dell’individuo.

Nel sufismo, invece, la sola astinenza non basta a purificare l’individuo. E’ vero che l’ascetismo e l’astinenza danno uno stato spirituale particolare, nel quale la percezione dell’individuo potrebbe essere acuita. Ma le nostre passioni potrebbero essere paragonate ad un drago, che diventa meno potente durante il digiuno, ma appena sazio, si rianima, diventa più forte che mai e cerca di soddisfare i suoi desideri.

Nel Sufismo è per mezzo della Tariqat (la Via Spirituale) che le passioni vengono progressivamente purificate e trasformate in Attributi Divini, finché tutto ciò che è coercitivo dell’io individuale, scompare. Allora, tutto ciò che resta è il Perfetto, I’Io Divino. Ascetismo e astinenza, al confronto di un impresa così precisa, sono praticamente senza valore.

La via spirituale (Tariqat)

La Tarigat è il cammino, la Via attraverso la quale il sufi si pone in armonia con la Natura Divina. Come abbiamo detto, questa via comprende il “fagr”, cioé la povertà spirituale, la devozione, e il ricordo continuo e disinteressato di Dio, che sono rappresentati dal Kherqe, investitura onorifica del discepolo.

1. La Poverta Spirituale (Faqr)

E’ contemporaneamente il sentimento di essere imperfetto e bisognoso e l’aspirazione alla Perfezione. Il Profeta Maometto diceva: ” La povertà spirituale è il mio orgoglio “. E Dio rivelò al Profeta: ” Di, o Dio, accresci la mia vera conoscenza di Te “(Corano: Ta Ha; 144).

Come indica quest’ultima frase, benché il Profeta avesse il compito onorifico della Profezia, era necessario che si sentisse povero e quindi desideroso di essere più vicino all’Essenza di Dio.

2. L’Investitura Onorifica (Kherqe)

Il Kherqe è il mantello d’onore del darvisc. Esso simbolizza la Natura Divina e i Suoi Attributi. Alcuni hanno erroneamente pensato che il mantello possieda, di per sé le proprietà relativa agli Attributi Divini e hanno ritenuto che portandolo si divenga santi. Al contrario il fatto di portare un ” abito spirituale “, non rende necessariamente spirituali.

I sufi indossano ciò che vogliono o ciò che piace a loro, ma restando in armonia con ciò che è socialmente accettato. Ali, il primo Imam, diceva: ” Il tuo abito non deve essere tale da provocare disprezzo, ammirazione o invidia” . perciò non è l’abito che fa il sufi, sono piuttosto i suoi atti e il suo stato interiore.

” Riposa sul trono del cuore,
sei un Sufi
nella purezza delle tue maniere”.

— di Sa’di

Il mantello è tessuto con l’ago della devozione e col filo del Ricordo Permanente di Dio. Colui o colei che voglia essere onorato di questo mantello di povertà deve, con devozione, sottomettersi ad una Guida Spirituale.

La vera devozione attira il cuore dell’individuo verso il Beneamato. Ciò implica un’ attenzione continua alla Verità Reale e uno sforzo costante nel distogliere l’attenzione dal “sé”.

L’indiscutibile sottomissione alla guida spirituale è indispensabile.

La guida, con mezzi spirituali, penetra nelle profondità dell’anima del discepolo, trasmutando le sue qualità negative liberandolo dalle impurità del mondo della pluralità. In altri termini, la guida prende l’ago della devozione dalle mani del discepolo e tesse per lui il mantello del sufi, con il filo del Ricordo Permanente di Dio. Solo allora per mezzo della Grazia del mantello dei Nomi e degli Attributi divini, il discepolo diventerà un Uomo Perfetto.

3. RICORDO PERPETUO DI DIO (Zekr)

Le forze dell’Unicità Assoluta, attraverso il canale della Divinità, possono manifestarsi negli esseri.

Ogni essere secondo la sua capacità, beneficia di queste Forze Divine.

Nell’ambito del linguaggio, le manifestazioni di queste forze o verità sono espresse dai Nomi Divini. Così, per esempio: il Vivente (al-Hayy), che significa che la vita universale gli è subordinata, e il Trascendente (al-Ali), che significa che la forza dell’universo gli appartiene.

I Nomi Divini, nel ricordo continuo e permanente di Dio (zekr), sono prescritti dal Maestro della Via Spirituale, allo scopo di preservare i discepoli dal dominio dell’ego, dalle pulsioni naturali. Ma questo ricordo ha valore solo se tutti i sensi dell’individuo vengono a centrarsi totalmente sul Significato Reale di questi diversi Nomi. E’ solamente per mezzo di una perfetta conoscenza del significato e della Verità di questi Nomi Divini che l’attenzione sull’io sparisce. Allora l’ego si purifica e si orna dagli Attributi Divini. Il poeta Maghrebi ha detto:

” Il Beneamato si manifestò così lungamente
al mio cuore predisposto
che dei suoi Attributi e della sua Natura
completamente si impregnò “.

E’ soltanto così che la ripetizione dei Nomi Divini (litania o zekr) poù essere definita ricordo disinteressato di Dio. Il discepolo è simile ad una macchina la cui energia proviene dalla devozione. questa macchina, con l’aiuto prezioso dello zekr, trasforma tutte le passioni in Attributi Divini.

Gradualmente, l’io del discepolo sparisce e lascia il posto alla Natura Divina; solo allora il discepolo può ricevere l’investitura del sufi. Il suo cuorre e la sua anima si illuminano della grazia degli Attributi Divini. In questo stato, il discepolo è pronto a partecipare alla festa spirituale dei sufi che ha luogo nella ” Taverna della Rovina ” (Kharabàt). Questo è lo stato spirituale del totale annullamento in Dio (fana). Ora il sufi percepisce direttamente i segreti della Verità. Come è detto nel Corano (al-waqe’a, L’Avvenimento; LVI: 79): ” Solo i puri possono provarla “. Puri, nel sufismo, sono chiamati gli esseri perfetti.

Per poter dimostrare come si pratica il ricordo di Dio (zekr), prediamo l’esempio del ” la elàha ella’ llàh ” che significa ” non c’è alcuna divinità oltre a Dio Unico “.

I sufi si siedono, con le gambe incrociate o sui talloni, la mano destra posta al di sopra del ginocchio sinistro, e la mano sinistra sul polso destro. In questa posizione le mani e le gambe dell’individuo formano un “la” (no in arabo) che simbolizza la non esistenza del sufi di fronte al suo Beneamato. In questa posizione il sufi deve rinunciare a questo mondo, all’altro mondo e a sé medesimo. Il “la” delle braccia comincia dall’ombelico e continua su sino al collo del discepolo. E’ come un paio di cesoie, che simbolizzano il distacco; l’assenza della testa, del sé, e la rinuncia della fede e dell’attaccamento all’esistenza limitata dell’individuo.

Con la elàha (Dio), il sufi inclina la testa e la gira verso destra in un semicerchio. Questo è chiamato arco dell’esistenza possibile (emkàn). Questa parola simbolizza la negazione o piuttosto la rinuncia alla credenza di tutto ciò che non è Dio o il mondo di emkàn. ” Altro all’infuori di Dio ” nel sufismo significa ogni esistenze effimra, limitata e possibile; gli esseri umani si preoccupano di queste esistenze possibili al posto dell’Eternità che comprende il Necessario e l’Assoluto Reale di Dio. Allora, con ella llàh, inclina e volge la testa a sinistra. Questo è chiamato arco della necessità (l’arco del vogiube) e simbolizza la realtà del Necessario, la Realtà Assoluta.

La Manifestazione del Divino (Mazhariat)

Poiché le parole simbolizzano oggetti, conceti e realtà, i sufi credono che coloro che iniziano a percorrere la Via (i discepoli) con l’aiuto del ricordo costante e con la completa attenzione al significato del ricordo do Dio, diventano la vera manifestazione del ricordo stesso; in altri termini ricordando costantemente e disintressatamente Dio, il sufi diviene Superiore e questo è uno degli Attributi Divini.

I sufi credono che ci sia un attributo Divino particolare che domina l’essere di ogni profeta e di ogni santo (wali), per cui si potrebbe dire che ciascuno di loro è la manifestazione di una teofania particolare. Per esempio, i sufi considerano Mosè come il simbolo di oluwyàt (superiorità o aspetto trascedente della realtà), grazie alla capacità che aveva di indirizzarsi direttamente a Dio senza alcun intermediario. Nel Corano, Dio dice a Mosè: ” non temere nulla perché sei il Superiore ” (Il Corano: Ta Ha; XX: 68).

Gesù è la manifestazione della Profezia. In effetti, ancora bambino, esclamò: ” Dio mi diede il Libro e mi nominò suo inviato ” (Il Corano: Maria; XIX: 30).

Tutti i profeti incarnano l’Unita Divina e la Perfezione, ma il profeta Maometto ne è la manifestazione suprema. E’ il simbolo del Nome Superiore (al-A’zam). Il Suo Nome è il più glorificato di tutti i Nomi Divini, poiché li comprende tutti. Perciò Maometto è l’incarnazione spirituale e la manifestazione dei Nomi Divini.

Maometto stesso diceva: ” La prima cosa che Dio ha creato era la mia Luce “.

Inoltre, ogni profeta è la manifestazione di un solo Attributo Divino, mentre tutti gli Attributi si ritrovano nel nome più glorificato: il nome al-A’zam di cui Maometto era il simbolo.

In altri termini, Maometto è la manifestazione del Grande Nome.

Così, per il fatto che la sua manifestazione include tutti i Nomi, egli viene gerarchicamente prima di tutte le creature. per questa ragione ha detto: ” Ero l’inviato di dio, quando Adamo era ancora fra acqua e fango “.

Samà

Se nonsei con il Beneamato,
perché non lo cerchi?
E se arrivi al tuo Beneamato,
perché non ne gioisci?

L’aspetto musicale ed estatico del sufismo si chiama samà. Il Sufi durante il suo rapimento spirituale, rivolge l’attenzione del suo cuore al Beneamato attraverso movimenti particolari, spesso con una musica speciale e ritmica ripetendo lo zekr. In questo stato di ebbrezza spirituale, il sufi è paragonabile all’innamorato per eccellenza che non ha niente altro nella sua mente fuorché Dio. Con tutte le sue facoltà è attento al Beneamato ed è totalmente distratto per tutto il resto e dimentico di sé. Non tutti i discepoli sono autorizzati ad impegnarsi nel Samà. Soltanto la guida spirituale decide dell’opportunità di tale pratica.

Può perciò prescrivere il Samà come un vero e proprio rimedio o talvolta proibirlo.

La Santità (Welayat)

Abbiamo detto sopra che il fine del Sufismo è formare Uomini Perfetti che riflettano i Nomi e gli Attributi Divini.

Nell Sufismo, l’Uomo Perfetto è chiamato anche “Wali” (santo), parola che significa letteralmente “amico sincero”; tutti i profeti sono stati anche santi. Il grado spirituale di santità è uno stadio che indica lo stato interiore dell’individuo, mentere il rango di profeta riflette la missione dell’individuo come inviato di Dio.

La missine profetica di Maometto era contemporaneamente la Santità Assoluta e la Profezia. Ali pur non essendo un profeta ha raggiunto la stessa Sanitità Assoluta.

Maometto diceva: ” Ali ed io siamo della stessa luce ” e Ali diceva: “Spiritualmente, sono sato con tutti i profeti”.

Per i grandi sufi, i santi comprendono i successori di Ali, nel suo ruolo politico-spirituale, come primo Imam sciita. Tra i santi ci sono anche i Grandi Maestri degli Ordini Sufi che hanno seguito la via esoterica tracciata da Ali.

Questi Esseri di luce, ciascuno secondo la propria capacità, si sono dissetati alla fontana della Verità.

Solo Dio conosce veramente i loro diversi livelli spirituali. In una delle tradizioni del profeta, (hadith), Dio dice: ” I miei amici sono sotto il mio vessillo, nessun altro all’infuori di Me li conosce “.

La maggior parte della gente non ha l’attitudine necessaria per conoscere i santi. Inolte, bisogna aggiungere e sottolineare che il contenuto non poù mai conoscere il contenente. La vera conoscenza dei santi, che non è una facoltà facile o comune, proviene dall’essere consapevoli di avere una realtà interiore.

Un errore comune a molta gente è credere che vivendo da eremita, si diventi santi. Mentere nella via del sufi, di Maometto e di Ali, si deve vivere in società. Restare in isolamente, lontano dal contatto col mondo, non ha valore spirituale duraturo.

Maometto diceva: ” La fede di un credente non è perfetta fino a che mille uomini di irreprensibile rettitudine non lo abbiano incolpato di ateismo “. Quello che voleva dire è che la conoscenza divina di un credente perfetto è al di là del livello della capacità di intendere della maggior parte della gente. Coloro che sentono parlare un tale Uomo Perfetto, premesso che non possono percepire la verità di ciò che dice, lo tacciano di miscredenza. Un vero credente, un sufi, deve vivere nella società, servirla e guidarla, deve essere il veicolo attraverso il quale la società riceve la Grazia Divina. E’ per questa ragione che l’accordarsi, l’adattarsi, e l’armonizzarsi con l’ambiente, l’essere in pace con il tutto sono requisiti basilari dell’Uomo perfetto.

La Purificazione e i suoi stadi

Gli stadi della Purificazione sono i seguenti:

1. L’io svuotato da sé stesso (L’eliminazione o takliyà).
2. L’io illuminato (L’illuminazione o tajliyà).
3. L’io ornato (L’ornamento o tahliyà).
4. L’io scomparso (L’annichilimento o fanà).

Questi stadi si manifestano nel corso del ricordo disinteressato di Dio (zekr).

Il primo stadio, l’essere svuotato di sé stesso, implica il rigetto delle qualità negative, delle passioni che vengono dall’io egoista.

Il secondo stadio, quello dell’io illuminato, implica svuotare il cuore e l’anima dalle impurità.

Nel terzo stadio, l’essere interiore dell’individuo si adorna degli Attributi Divini.

Finalmente l’essere interiore del discepolo diventa completamente colmo degli Attributi della Verità-Reale, nella misura in cui non c’è più alcun segno della propria esistenza limitata. Questo quarto stadio è chiamato ” l’io scomparsa ” (fanà). Un poeta sufi ha detto:

Ho pensato a Te così spesso
che sono diventato Te.
A poco a poco Tu sei avvicinato
e a poco a poco io sono scomparso.

Il discepolo attraverso questi gradi di purificazione, viaggia sulla Via interiore, la Via spirituale (Tariqat). Ma egli (o ella) può fare questo viaggio solo seguendo i doveri e gli obblighi della religione. Dopo aver percorso questa via, il discepolo diventa un Uomo Perfetto e arriva alla soglia della Verità (Haqiqat).

Maometto ha detto: ” La shari’at è la mia parola, la tariqat le mie azioni e l’haqiqat è il mio stato “.

Si potrebbe considerare il viaggio attraverso l’haqiqat, attraverso la Verità come una formazione nell’Università Divina, la ” Taverna della rovina ” (Kharabat). In questo reale centro di studi superiori non ci sono professori, la sola guida dello studente è l’Amore Assoluto. Qui L’Amore è il solo maestro, il solo programma di studi, ma anche l’essere interiore dell’individuo. Prima del suo ingresso in questa Universita, un individuo perfetto potrebbe essere ancora definito. Ma una volta entrato nella Realtà, egli diventa indefinibile, al di là mondo delle parole.

Fino alla riva dell’Oceano del fanà
si intravendono le orme
che spariscono poi
nell’Oceano del ” la” (non).
– di Rumi

Se gli domandate il suo nome, come Bayazid, risponderà: ” E’ da molto tempo che l’ ho perduto. Più lo cerco, meno lo trovo”.

Se gli chiedete della sua religione, come Rumi, risponderà:

“La via di un innamorato
non è fra le religioni.
La chiesa e lo stato degli amanti
è Dio “.

Se gli domandate come sta, come Bayazid risponde: ” Non c’è che Dio sotto il mio mantello “.

Se parlasse come Hallaj, potreste sentirlo cantare: ” Sono la Verità ” (Ana’l-Haqq).

Tali parole veramente non possono venire che da Uomini Perfetti che hanno perduto il loro “io” e sono divenuti la manifestazione della Natura dei Misteri Divini. Il loro io ha preso il volo e solo Dio è rimasto.

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IL TASAWWUF

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di Shaykh Hisham Kabbani

“AL TEMPO DEL PROFETA, IL TASAWWUF ERA UNA REALTÀ SENZA NOME. OGGI IL TASAWWUF È UN NOME, MA POCHI SONO A CONOSCENZA DELLA SUA REALTÀ.”

Oggi la Nazione Islamica ha bisogno di valenti studenti che osservino i corretti insegnamenti dell’Islam (‘alimun ‘aamil), che provino a fare del loro meglio per fare rivivere ciò che della religione islamica è stato distrutto nel corso degli anni, che siano in grado di discernere il giusto dal sbagliato, halal da haram, e che credano in Haqq e nel suo opposto Batil, senza avere paura di nessuno sulla via che conduce ad Allah.

Oggi i musulmani non hanno nessuno che li consigli o li guidi nell’insegnamento della loro religione e dei buoni comportamenti richiesti dall’Islam. Al contrario, vediamo solo studenti che pretendono di sapere qualcosa, che impongono su chiunque le loro idee e credenze corrotte riguardo l’Islam. Partecipano a qualsiasi incontro, discutendo e offrendo letture sull’Islam da una prospettiva ristretta e limitata, non secondo la guida dei Sahaba del Profeta o dei grandi Imam dell’Islam, né con il consenso della maggioranza dei musulmani.

Se gli studiosi volessero prestare ascolto alle loro coscienze e ritornare con fedeltà e sincerità all’Islam, senza subire gli influssi dei governi o di altri poteri che controllano i paesi musulmani con il loro denaro, dedicando se stessi unicamente alla da’wa, alla irshad e al ricordo di Allah e del suo Profeta (s), allora la situazione nel mondo islamico potrebbe veramente cambiare, e la vita dei musulmani ne trarrebbe enorme vantaggio. La nostra speranza è che in questo nuovo anno islamico, il 1416, i musulmani di America e di tutto il mondo ritornino ad essere una sola cosa, tutti uniti da un’unica corda, la Corda di Allah, per mettere in pratica la Sunnah e la Shari’ah del Profeta Muhammad (s).

Se le persone provassero a voltarsi e a guardare con attenzione alla storia, scoprirebbero che dopo la preziosa opera dei Sahaba, (i Compagni del Profeta (s)), l’Islam si diffuse a occidente e oriente e fino all’oriente estremo attraverso la dawa’ e la irshad degli studenti e dei seguaci del Tasawwuf (Sufismo), i quali seguirono la Vera Via dei Califfi del Profeta (s), radi-Allahu ‘anhum. Essi furono gli studenti del vero Sufismo, che conserva gli insegnamenti del Qur’an e della Sunnah, e che mai si è allontanato da essi.

Il zuhd (ascetismo) islamico fiorì nel corso del primo secolo Hijri e si sviluppò nelle scuole che si basavano sui loro insegnamenti della Sunnah e della Shari’ah, diffusi dagli studenti zahid che divennero noti come Sufi. Tra loro erano presenti i primi quattro Imam, l’Imam Malik, l’Imam Abu Hanifa, l’Imam Shafi’i e l’Imam Ahmad Ibn Hanbal, insieme all’Imam Abi ‘Abdallah Muhammad AL-BUKHARI, Abul Husain MUSLIM bin al-Hajjaj, Abu ‘Isa TIRMIDHI. Tra gli altri erano presenti Hasan al-Basri, al-Junaid, l’Imam Awzai’ e, in seguito, at-Tabarani, l’Imam Jalaluddin as-Suyuti, ibn Hajar al-Haythami, al-Jardani, ibn Qayyim al-Jawzi, l’Imam Muhyiddin bin Sharaf bin Mari bin Hassan bin Husain bin Hazam bin NAWAWI, l’Imam Abu Hamid GHAZALI, Sayyid Ahmad al-Farouqi Sirhindi, solo per nominarne alcuni. Il mondo musulmano ha cominciato a conoscere l’Islam attraverso gli sforzi di questi studenti zahid, che erano noti come Sufi per la loro lealtà, sincerità e purezza di cuore.

Non vogliamo nascondere il fatto che, a quel tempo, alcuni nemici dell’Islam arrivarono ad adottare un approccio estremo, nascondendosi dietro il nome di Sufismo, pretendendo di essere Sufi e diffondendo allo stesso tempo strane idee con lo scopo di demolire i veri insegnamenti Sufi e di avvelenare le idee che la maggioranza dei musulmani avevano adottato a riguardo del Tasawwuf. Il vero Tasawwuf è basato sul zuhd e sulla Ihsan (purezza di cuore). È noto che i grandi Imam del mondo musulmano, i cui insegnamenti vennero seguiti da tutti i paesi musulmani, avevano dei maestri Sufi. L’Imam Malik, l’Imam Abu Hanifa, (il cui maestro fu Ja’far as-Sadiq), l’Imam Shafi’ (che seguì Shayban ar-Rai’) e l’Imam ibn Hanbal (il cui maestro fu Bishr al-Hafi), tutti costoro abbracciarono il Tasawwuf.

Tutti i tribunali e le università dei paesi musulmani traggono i loro insegnamenti dalle scuole di questi quattro Imam, fino ai nostri giorni. Ad esempio, Egitto, Libano, Giordania, Yemen, Djibouti e alcuni altri paesi seguono il madhhab di Shafi’i. Sudan, Marocco, Tunisia, Algeria, Mauritania, Libia e Somalia seguono la scuola di Maliki. Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Oman e alcuni altri paesi seguono la scuola di Hanbali. Turchia, Pakistan, India, Ceylon e alcune delle repubbliche russe seguono la scuola di Hanafi. I paesi musulmani che si trovano in Estremo Oriente seguono la scuola di Shafi. La maggior parte dei tribunali dei paesi musulmani basano le loro fatwa sui dettami di queste quattro scuole, e tutte queste quattro scuole hanno accettato il Tasawwuf.

L’Imam Malik, nel suo famoso discorso, disse, “man tasawaffa wa lam yatafaqa faqad tazandaqa, wa man tafaqaha wa lam yatasawaf faqad tafasaq, wa man tasawaffa wa tafaqaha faqad tahaqaq.”

Che significa: ” Chiunque ha studiato il Tasawwuf senza il Fiqh è un eretico, e chiunque ha studiato il Fiqh senza il Tasawwuf è corrotto, mentre chiunque ha studiato sia il Tasawwuf che il Fiqh troverà la Verità e la Realtà dell’Islam.”

Al tempo in cui viaggiare era estremamente difficile,  l’Islam si diffuse con sorprendente velocità grazie all’impegno disinteressato dei viaggiatori Sufi, ben istruiti nella disciplina ascetica (zuhd ad-dunya), che era richiesta a coloro i quali Allah aveva prescelto per un compito così nobile. La loro vita era dawa’, e il loro sostentamento si basava su pane e acqua. Attraverso una tale astinenza, essi furono in grado di raggiungere l’occidente e l’oriente estremo con la benedizione dell’Islam.

Durante il sesto e il settimo secolo Hijri, il Tasawwuf si diffuse in modo esponenziale grazie al progresso e agli sforzi dei maestri Sufi. Ogni gruppo prendeva il nome dal proprio maestro Sufi, così da differenziarsi dagli altri gruppi. Oggi, in modo analogo, ciascuna persona conserva il titolo che le viene conferito dalla università presso la quale si laurea. Non è ovviamente necessario aggiungere che l’Islam rimane sempre lo stesso e che non varia di maestro in maestro, esattamente come non varia di università in università.

Comunque sia, nel passato gli studenti venivano influenzati dai buoni comportamenti e dalla ottima moralità dei loro maestri. Per questo i musulmani erano sinceri e fedeli. Ma oggi i nostri studenti sono aridi, e l’Islam viene loro insegnato in università non musulmane da professori non musulmani (chi sa è in grado di intendere).

I maestri Sufi chiedevano ai loro studenti di accettare Allah come il loro Creatore, e il Profeta come il Suo Schiavo e Messaggero (s), di adorare il solo Allah e di abbandonare l’adorazione degli idoli, di pentirsi di fronte a Dio, di seguire la Sunnah del Profeta, di purificare i loro cuori, di liberarsi dagli errori e di correggere le loro credenze nella Unicità di Dio. Venne loro insegnato di essere onesti e sinceri in tutte le loro azioni, di essere pazienti e timorati di Dio, di amare il prossimo, di dipendere da Dio, e di osservare tutti gli altri eccellenti comportamenti richiesti dall’Islam.

Affinché potessero raggiungere tutte queste stazioni di sincerità e purezza, essi affidarono ai loro studenti diverse preghiere  (du`a) che il Profeta (s), i suoi Sahaba e i Tabi’een avevano la consuetudine di recitare. Venne loro insegnato il Dhikr-Allah, il ricordo di Allah, attraverso la lettura del Qur’an e dei dua‘ e tasbeeh degli Hadith, e attraverso la recitazione dei Nomi e degli Attributi di Allah in tahleel, tahmeed, takbeer, tamjeed e tasbeeh, secondo i molti ayat e hadith del Profeta sul Dhikr (che possono essere trovati in tutti i libri di Hadith, compresi Bukhari, Muslim, Tabarani, Ibn Majah, Abu Dawud, ecc., sotto il titolo Dhikr nell’Islam, a cui chiunque può fare riferimento).

Questi maestri Sufi (veri studenti) rinunciarono a posizioni di prestigio e fama, insieme al denaro e ad una vita materialistica, a differenza degli studenti dei nostri giorni, che rincorrono gloria e denaro. Furono invece zahid e dipendenti da Allah, seguendo le sue parole: “ma khalaqtul Jinni wal Insi illa li-ya’budoon”, che significa: “Non creammo i Jinn e l’Umanità se non per adorarMi.”

Attraverso la loro modestia e zuhd, essi furono in grado di convincere le persone di buona volontà ad erigere moschee e dormitori (khaniqah) in località sparse per tutta la Ummah dell’Islam, offrendo gratuitamente cibo e ospitalità. Fu così che l’Islam si diffuse rapidamente di paese in paese, grazie ai khaniqah e alle moschee. Questi luoghi, in cui i poveri potevano mangiare e dormire e i senza tetto potevano trovare un riparo, furono una cura per i cuori dei poveri e fecero da collegamento tra ricchi e poveri, tra neri, gialli, rossi e bianchi, tra arabi e non arabi.

Il Profeta (s) disse nell’hadith, “Non vi è differenza tra arabi e non arabi, se non attraverso la rettitudine.

Questi luoghi fecero in modo che persone di tutte le razze e nazioni si ritrovassero insieme. I Sufi si impegnarono a conservare la Sunnah e la Shari’ah. La loro storia è piena di coraggio e privazioni sulla via di Allah,  jihad fi sabeell-illah. Essi lasciarono i loro paesi e si dedicarono alla continua ricerca dei cuori delle persone, per convertire più gente possibile attraverso un solo metodo, che è l’amore. Che è amare tutti senza distinzione di razza, età e sesso. Essi vedevano in chiunque incontravano una persona meritevole di rispetto, e in particolare le donne, gli oppressi e i poveri. I Sufi erano come stelle luminose, risplendenti per tutto il mondo, sempre intenti a incoraggiare chiunque a ‘jihad fi sabeel-illah’, a lottare sulla via che porta ad Allah, a diffondere l’Islam, ad aiutare i poveri, i senza tetto e tutti gli indigenti, vicini e lontani. Raggiunsero con il loro Iman il centro Asia fino a paesi come India, Pakistan, Tashkent, Bukhara, Daghistan, e altre regioni quali Cina, Malaysia, Indonesia, ecc.

I veri Sufi non si allontanarono mai dalla Shari’ah e dalla Sunnah del Profeta come pure dal Qur’an, a discapito della esuberanza delle parole estatiche di alcuni Sufi e di alcune spiegazioni che rivelarono la Grandezza di Dio e la misericordia e la purezza del Suo Amato Messaggero, l’Amato Muhammad (s).

Le due principali guide del Tasawwuf furono il Santo Qur’an e la Sunnah del Profeta (s), ed esso venne trasmesso attraverso l’idea di Islam di Sayiddina Abu Bakr (radi-Allahu ‘anhu) e di Sayiddina Ali (karam-Allahu wajhah), che sono considerati  i due maestri guida delle scuole di Sufismo. Sayiddina Abu Bakr (r) rappresentava una corrente del Tasawwuf. Il Profeta ha detto a suo riguardo, “qualsiasi cosa Dio abbia riversato nel mio cuore, io la ho riversata nel cuore di Abu Bakr” “ma sab-Allahu fee sadree shayan illa wa sababtuhu fee sadree Abi Bakrin.” (Hadiqa Nadiah, pubblicato nel Cairo, 1313 H. p. 9). Allah disse nel Santo Qur’an:

…ebbene già lo ha assistito Iddio quando gli infedeli lo scacciarono, lui con un solo compagno, quando essi si trovavano nella caverna.’ (9, 40).

E il Profeta disse in un altro hadith “il sole non è mai sorto meglio che su Abu Bakr, eccetto per i profeti.” (fare riferimento a Suyuti, Storia dei Califfi, Cairo, 1952, p. 46).

Esistono molti altri hadith che illustrano il percorso spirituale di Abu Bakr as-Siddiq. L’altra corrente del Tasawwuf derivava da Sayiddina Ali (r), a riguardo del quale esiste un numero estremamente elevato di hadith che, a spiegarli, occuperebbero molte pagine. Infine, la Sunnah del Profeta e la Shari’ah, che rappresentano i doveri, e l’Ihsan, che rappresenta i buoni comportamenti, furono tutti incarnati nella figura degli studenti Sufi, ad iniziare da Sayiddina Abu Bakr (r), il primo califfo del Profeta (s) fino ad oggi.

Nel tredicesimo secolo Hijri (XIX A.C.) apparve una nuova scuola, influenzata dagli insegnamenti di due studenti dell’Islam del settimo secolo Hijri, (XIV A.C.). Questa scuola rappresentava una nuova corrente di pensiero nell’Islam dal momento che, sebbene si basasse sulla scuola di Hanbali, si differenziava da essa sulla ‘aqida. Benché anche questa scuola accettasse il Tasawwuf, essa mantenne una interpretazione notevolmente più ristretta e limitata rispetto alle prime Quattro Scuole in relazione a ciò che è permesso nell’Islam.

In seguito, i seguaci di questa scuola si allontanarono dagli insegnamenti originali dei fondatori, prodigandosi fino a livelli estremi nel muovere accuse contro i musulmani basandosi sulle fatwa degli studiosi moderni, i quali hanno adottato una interpretazione dell’Islam molto restrittiva e letterale, e sono andati contro il modo di pensare più seguito dai musulmani. Queste nuove credenze si sono poi diffuse con grande rapidità nel corso di questo secolo con il supporto di una minoranza di musulmani, che seguono le loro personali idee e danno la loro personale interpretazione del Qur’an e della Sunnah.

Queste persone stanno adesso combattendo contro il Sufismo, provando a sminuire il coraggio e le privazioni dei Sufi che diffusero l’Islam in tutto il mondo durante i precedenti 1300 anni.

Come nazione musulmana, noi rispettiamo tutte le scuole presenti nell’Islam, senza discriminazioni. Detto questo, noi non accettiamo che qualcuno ci imponga le sue idee, dal momenti che stiamo seguendo gli insegnamenti accettati dalla maggioranza dei musulmani, i quali a loro volta accettano il Tasawwuf.

In America, siamo sorpresi di vedere negati e rigettati 1400 anni di storia e cultura islamica da una minoranza di studiosi e dalle loro personali interpretazioni, come se gli studiosi che durante questi 1400 anni seguirono le scuole Sufi e i quattro madhahib non esistano e non siano mai esistiti.

Per i nostri fratelli e sorelle, le informazioni qui presentate si riferiscono ai nomi di alcuni degli infiniti studiosi dei nostri giorni che seguono le scuole Sufi e i quattro madhahib, che rappresentano la maggioranza dei musulmani di tutto il mondo islamico

Infine, Islam è Luce che Allah ci ha inviato attraverso il suo ultimo Messaggero Muhammad (s), il quale è il Vero simbolo dell’amore, il simbolo della conoscenza interiore ed esteriore, il simbolo della misericordia per tutti gli essere umani. Egli è il nostro tramite con Dio. Egli è l’intercessore per tutti noi, senza dubbio alcuno, come dicono espressamente tutti i testi di fiqh.

Possa Allah perdonarci tutti gli errori e le mancanze contenute in questa presentazione.

As-salaam alaykum wa rahmatullahi wa barakatuhu,
Il più povero dei poveri di fronte ad Allah, servo della Sunnah del Profeta (s),

Shaikh Muhammad Hisham Kabbani :
Presidente della As-Sunna Foundation of America
607 A. West Dana
Mountain View, CA 94041

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IL SUFISMO secondo la TARIQA JERRAHI

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Cos’è il sufismo

Il sufismo non è differente dal misticismo di tutte le religioni. Il misticismo viene da Adamo. Esso ha assunto strutture e forme differenti durante molti secoli; ad esempio, il misticismo di Gesù, dei monaci, degli eremiti e del Profeta Maometto. Un fiume passa attraverso molti paesi ed ognuno Lo rivendica per se. Ma è un unico fiume.

La verità non cambia; cambia la gente. La gente cerca di possedere la verità e tenerla per se, lontana dagli altri. Ma nessuno può avere il possesso della verità.

La via del sufismo è innanzi tutto l’eliminazione di qualsiasi intermediario fra l’individuo e Dio. Il fine è agire come un’estensione di Dio, e non come una barriera. Essere un sufi è servire ed aiutare gli altri, e non semplicemente star seduto a pregare. Essere un vero sufi vuol dire rialzare chi è caduto, asciugare le lacrime di chi soffre, accarezzare l’orfano e chi non ha amici.

Le diverse persone hanno capacità diverse, chi può aiutare con le azioni, chi con la parola, chi con le preghiere, e altri con la ricchezza.

Puoi arrivare alla meta anche con il tuo solo sforzo, ma questa è la via più dura. I nostri fini personali conducono tutti alla stessa meta. Vi è una verità soltanto. Ma perché negare le migliaia d’anni d’esperienza che si trovano nella religione? Vi è una vera saggezza, data da tanti anni di ricerca, di tentativi, d’errori.

Un grande sbaglio è avere soltanto una mezza religione. Ciò tiene lontano dalla vera fede. E’ una vera assurdità. Ricorrere ad uno che è solo un mezzo medico è terribilmente pericoloso. Chi governa a metà è soltanto un tiranno. Quante lotte nel labirinto della religione e delle diverse religioni! Sono come cani che lottano per un osso, tendendo ai loro propri interessi egoistici. La soluzione è ricordare che esiste un unico Creatore che provvede a noi tutti. Più ricordiamo l’Unico, meno si combatte.

Uno shayikh sufi è come un medico, e un discepolo è qualcuno che ha il cuore malato. Il discepolo viene dallo shaykh per guarire. Un vero medico darà una certa dieta e certe medicine per curare i mali di una persona. Se i discepoli seguono le prescrizioni del loro shaykh, guariscono. Altrimenti, possono anche morire. Ma i pazienti che seguono male le prescrizioni del loro medico corrono alla propria rovina.

Ad un livello superiore il rapporto di uno shaykh e dei discepoli è come il rapporto tra un grappolo d’uva ed il ramo. Lo shaykh tiene legato il grappolo all’albero, alla linfa e alla fonte della linfa. E’ estremamente importante capire questo collegamento. E’ come quello fra la lampadina e l’elettricità. L’effetto e lo stesso. Alcuni shaykh hanno 20 volt, altri hanno 100 volt, ma l’elettricità è sempre la stessa.

Gli occhi sono le finestre dell’anima. Guardando i discepoli lo shaykh li unisce. Può esserci una gran forza nello sguardo di uno shaykh.

Il primo stadio è avere fede. Il primo passo in questo stadio è la fiducia nel proprio shaykh. Espressione esteriore di ciò è sottomettersi allo shaykh. Con questa sottomissione la vostra arroganza si trasformerà in umiltà, la vostra irosità e la vostra negatività si trasformeranno in gentilezza di carattere e mitezza. Questo primo passo è veramente grande.

Non ogni persona con un turbante, vestito con toghe ricercate o altro particolare abbigliamento è uno shaykh. Ma quando trovate uno shaykh, grazie al volere di Dio, il primo passo è la sottomissione; ma, attenzione… Il chiedere e il dubitare che oggi sono tanto accentuati in Occidente, possono anche portarvi alla verità. In effetti, vi è una certa cecità nella sottomissione irriflessiva. Può esser meglio, dapprima, osservare, cercare, e pensare, al fine di scegliere uno shaykh da seguire soltanto quando avete risolto i vostri dubbi e i vostri interrogativi.

Nella nostra tradizione generalmente si considera grande infrazione all’etichetta porre domande o dubbi al vostro shaykh. Tuttavia può esser giusto chiedere se, ottenute le risposte alle vostre domande, la vostra fede può diventare più chiara e ferma.

Persino il profeta Abramo chiese a Dio: “Come puoi riportare in vita il morto?” Dio rispose: “Abramo, non hai fede in me? Dubiti di me?” Abramo rispose: “Si, ho fede e Tu sai che cosa c’e nel mio cuore. Ma volevo vedere con i miei occhi”.

Vi sono quattro vie alla Fede. La prima è la via della conoscenza.Qualcuno viene da voi e vi parla di qualche cosa che non avete mai visto. Ad esempio, molti parlavano di un certo paese, ma io non lo avevo mai visto. Alla fine salii su un aeroplano e vidi con i miei propri occhi quel paese dalla finestra dell’aeroplano. Quando vidi il paese con i miei occhi, la mia conoscenza si accrebbe. Ma dopo che percorsi quel paese la mia conoscenza divenne maggiore. Il livello finale sarebbe diventare parte di quel paese.

Allora, le quattro vie verso la fede sono:

  1. sapere che esiste una cosa

  2. vedere una cosa

  3. essere in una cosa

  4. diventare la cosa

E’ bene avere dubbi, ma non dovete rimanere nel dubbio. Il dubbio deve condurvi alla verità. Non fermatevi alle domande. La mente può anche ingannarvi. La conoscenza e la scienza possono ingannarvi. Vi è anche una condizione che fa parte del destino di certi popoli -e cioè: gli occhi che vedono cessano di veddere, le orecchie che odono cessano di udire, e la mente che immagina le cose cessa di immaginare.

Nel caso del profeta Abramo, il suo popolo era adoratore d’idoli. Egli aspirava a trovare Dio. Guardò la stella più luminosa e disse: “Tu sei il mio Signore”. Poi spuntò la luna piena. Era molto più grande e più luminosa di qualsiasi stella. Abramo guardò luna e disse: “Tu sei il mio Signore.” Poi spuntò il sole; la luna e le stelle disparvero. Abramo disse: “Tu sei il più grande, tu sei il mio Signore”. Venne la notte e il sole scomparve. Abramo disse: “Il mio Signore è colui che cambia le cose e le riporta indietro. Il mio Signore e Colui che sta dietro tutti i cambiamenti”.

Vedete, passo dopo passo, con questo procedimento Abramo passò dall’adorazione dell’idolo all’adorazione di Dio. Egli salvò il suo popolo dalla falsità. Si può davvero giungere all’unità dalla molteplicità.

C’è una lotta fra il nafs, il basso istinto, e l’anima. Questa lotta continuerà durante la vita. La domanda è: chi educa chi? Chi diventerà il maestro di chi? Se l’anima diventa il maestro, allora sarai un credente, uno che abbraccia la Verità. Se il basso istinto diventa maestro dell’anima, sarai uno che nega la Verità.

* * * *

Si dice che uno shaykh non deve mai essere ospite di un sultano, e che anche se uno shaykh fa visita ad un sultano, è il sultano ad essere il suo ospite. Ossia, lo shaykh va per insegnare e per portare un beneficio al sultano, non a ricevere qualche cosa da lui. Anche uno shaykh deve difendersi dalle tentazioni del denaro, della fama e del potere. Anni or sono il Sultano dell’Impero Ottomano cominciò a venire alle riunioni del nostro Ordine. Il Sultano fu molto colpito dalla saggezza dello shaykh Jerrahi, e gli piacque molto anche la cerimonia zikr dei dervisci.

Dopo un paio di mesi, il Sultano disse allo shaykh: “Sono stato veramente impressionato e ispirato dalle mie visite qui, e da voi e dai vostri dervisci. Desidero aiutarvi comunque io possa. Per favore, chiedetemi qualsiasi cosa”.

Era un’offerta completa, carta bianca da parte del governatore di uno dei più grandi imperi del mondo. Lo shaykh disse: “Si, o mio sultano, potete fare qualcosa per me. Per favore, non tornate da noi.”

Il Sultano, colpito, chiese: “Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non conosco tutte le regole d’etichetta dei sufi, e mi duole se vi ho offeso.”

“No -disse lo shaykh- non mi avete assolutamente offeso. Il problema non è a causa vostra, ma dei miei dervisci. Prima che voi veniste, essi pregavano e cantavano i Nomi Divini soltanto per amore di Dio. Ora, quando pregano e cantano essi pensano a voi. Pensano di ottenere la vostra approvazione e a quanta ricchezza e potere possono conseguire quelli che ottengono il vostro favore. No, o Sultano, non si tratta di voi ma di noi. Temo che non siamo abbastanza maturi spiritualmente per adeguarci saggiamente alla vostra presenza qui. Per questo motivo sono costretto a chiedervi di non tornare qui.”

* * * *

Un giorno il Sultano cavalcava nelle strade di Istanbul, circondato da cortigiani e soldati. Tutta la popolazione della città venne fuori per vedere il Sultano. Ognuno s’inchinò al passaggio del Sultano, eccetto un solo, cencioso derviscio.

Il Sultano fece fermare la sua processione e si fece condurre il derviscio. Volle sapere perché il derviscio non si era inchinato al suo passaggio.

Il derviscio rispose: “Sì inchini a voi tutta questa gente. Essi vogliono tutti ciò che voi avete: denaro, potere, stato sociale. Grazie a Dio queste cose non significano più nulla per me. Inoltre, perché devo inchinarmi a voi, mentre io ho due schiavi che sono vostri padroni?”

La folla rimase senza fiato e il Sultano impallidì di collera. “Che cosa intendi dire?” gridò. “I miei due schiavi che sono vostri padroni sono l’ira e la bramosia” disse calmo il derviscio, guardando bene in faccia il Sultano.

Riconoscendo la verità di quanto aveva udito, il Sultano si inchinò al derviscio.

* * * *

Dio ha detto: “L’universo intero non può contenermi, ma mi contiene il cuore del mio fedele.” Orbene, Dio non è contenuto effettivamente nei cuori umani. Dio non può esser limitato ad un luogo. Le manifestazioni di Dio si adattano ai cuori di tutta la gente. Noi non siamo “parte” di Dio, poiché Dio e indivisibile. L’umanità è creazione di Dio. La manifestazione di Dio nei nostri cuori è che noi siamo vicari di Dio, rappresentanti di Dio. Siamo l’espressione, l’esempio visibile di Dio. E cosi la Misericordia di Dio si esprime tramite i pensieri e le azioni di una persona, la Compassione di Dio tramite un’altra persona, la Generosità di Dio tramite un’altra.

Vi è l’essenza di Dio e vi sono gli attributi di Dio. Capire l’essenza è per noi impossibile; ma possiamo cominciare a capire gli attributi. In effetti, parte dell’educazione di un Sufi è capire quegli attributi in noi.

Dio ha detto: “I miei servi Mi troveranno come essi Mi vedono.” Ciò non significa che se voi considerate Dio come un albero o una montagna Dio sarà quell’albero o quella montagna. Se voi pensate a Dio come Dio di misericordia, .d’amore, o di collera o di vendetta, cosi troverete Dio.

Nel Sufismo è ammesso parlare degli attributi di Dio, ma alla fine, il Sufi giunge allo stadio della sottomissione, e allora smette di porre domande.

L’elettricità è dovunque, ma se voi avete soltanto tre lampadine, tutto ciò che vedrete sono quelle tre lampadine. Dovete aver consapevolezza di voi stessi. Questo è l’inizio e anche la dimensione totale. Soltanto conoscendo voi stessi conoscerete certi attributi. La connessione con gli attributi si attua attraverso la conoscenza del se. Di fuor da voi non troverete nulla.Tutta la creazione è manifestazione di Dio. Ma, come alcune parti della terra ricevono più luce di altre, alcune persone ricevono più luce. I profeti ricevono il massimo della luce Divina. Oltre alla quantità vi è la qualità. Dipende da quali attributi sono manifestati. Alcune persone sono manifestazioni di vari attributi Divini. I profeti manifestano la totalità degli attributi divini. La luna riflette la luce del sole. Il sole è la Verità; la luna è ogni profeta.


La via mistica del Sufismo

(testi del prof.Gabriele Mandel khalifa dell’ordine sufi Jerrahi Halveti per l’Italia )

Secondo Si Hamza Boubakeur “il Sufismo non è in se stesso né una scuola teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, poiché si pone di sopra da ogni obbedienza. E’ innanzitutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, d’equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente. Lungi dall’essere una innovazione o una via divergente parallela alla pratiche canoniche, è anzitutto una marcia risoluta d’una categoria di anime privilegiate, prese, assetate di Dio mosse dalla scossa della Sua grazie per vivere solo per Lui e grazie a Lui nel quadro della Sua legge meditata, interiorizzata, sperimentata”.
Sempre secondo Si Hamza Boubakeur le componenti della dottrina sufi sono l’amore totale per Dio; la gnosi, che superando la conoscenza intellettuale imperfetta e incompleta unisce direttamente il sufi al divino, per ciò la certezza della Sua esistenza e dell’impossibilità di capirLo con le sole forze umane; il raggiungimento della conoscenza intuitiva; l’ascesa mistica attraverso una serie di stati e di stazioni, integrati dalla rammemorazione e dall’estasi.
Il cammino che il sufi compie si svolge in dieci tappe, ognuna delle quali ha dieci stadi di apprendimento-comprensione, per un totale quindi di termini-rappresentazioni rammemoranti il filo del cammino da compiere. Ognuno ha corrispondenti versetti coranici a illuminarne i valori. In questo cammino il sufi raggiunge sette gradi sottili emblematicamente corrispondenti – secondo la descrizione di Simnani – a sette grandi profeti.
Le dieci tappe sono: inizi, porte, comportamenti, costumi virtuosi, principi, valli, stati mistici, santità, realtà, dimore supreme.


I sette gradi
Nell’arco di discesa, dal macrocosmo al microcosmo, dal divino all’anima, sono l’essenza divina, la natura divina, il mondo dell’informale, il mondo dell’immaginale, il mondo della percezione spirituale, il mondo delle forme, il mondo della natura e dell’essere umano.
Nell’arco di ascesa, quello che compie il sufi per giungere dal sé a Dio, i sette gradi evolutivi sono emblematizzati da sette profeti e dalle relative descrizioni del Santo Corano. La matrice del corpo, nell’acquisizione di una matrice embrionale d’una forma nuova non fisica, è rappresentata da Adamo.
Il secondo grado (senso vitale) corrisponde all’anima animale, o psiche, terreno di lotte quali provò Noè nei confronti del suo popolo.
Il terzo grado (il cuore) è quello del cuore spirituale, perla all’interno della conchiglia, comprensione del sé autentico allo stato embrionale. Questo sé spirituale è simbolizzato da Abramo, poiché Abramo era l’intimo di Dio.
Il quarto grado (il limite del sovracconscio) è il Segreto, il punto del sovracconscio, dei monologhi spirituali quali quelli di Mosè.
Il quinto grado (lo spirito) è un raggiungimento nobile della spiritualità, quale alterità divina, ed è il Davide dell’essere.
Il sesto grado (l’ispirazione) è appunto l’accoglimento in sé dell’ispirazione, ed è simbolizzato da Gesù, perché fu Gesù che annunciò il Nome.
Il settimo grado (la Verità), quello dell’ultimo organo sottile, attivato alla fine di questo percorso, corrisponde al centro divino dell’Essere, al Sigillo eterno, alla realtà trascendente e immanente di ogni essere umano, ed è simbolizzato dal Profeta Maometto (S.a.S.), poiché egli fu il Sigillo della Profezia.


I sette colori
Ognuna di queste sette tappe del viaggio ha il suo relativo colore che corrisponde al colore della luce che durante il dhikr il sufi a volte vede. I sette colori sono, a partire dalla base: nero grigio, azzurro, rosso, bianco, giallo, nero luce, verde smeraldo.


I sette simboli
I sette gradi hanno relativi simboli, il cui studio e la cui elaborazione nel corso delle sedute ne aiuta la comprensione: suono, luce, numero (geometria, costruzione, sezione aurea), lettera (significati segreti dei nomi, costruzione grammaticale), parola (dhikr, Nomi di Dio, Santo Corano), simbolo, ritmo e simmetria.


Tuttavia, questa descrizione sommaria è imperfetta e limitata. Descrivere il viaggio per tappe e gradi non è rendere il vissuto e la sua attualizzazione. Si ricorre allora ad altri termini, per designare una realtà psichica acquisita: stati. stazioni, presenze.

Ahl (pl. ahwâl). Momenti cardine, transitori.Per metafora si può descrivere così: “Il terreno che viene urtato dal suono è egli stesso movimento ondulatorio. L’onda è il metro, il ritmo nasce dalle combinazione dei toni su questa onda [...]. I toni si ripartiscono sulla misura, regolare o non regolare; possono riempirla succedendosi con rapidità, o al contrario lasciare vuoti vasti intervalli. A volte si affastellano, a volte si distanziano [...]. In ragione di questa libertà di ripartizione e di innescamento, i toni possono dare alla forma di base, costantemente sinuosa, un profilo nobile, differente di continuo [...]. Questi giochi del tono sull’onda sonora, questo modellarsi della sostanza dell’onda, la coincidenza e l’opposizione delle due componenti, la loro tensione reciproca e l’adattamento continuo degli uni negli altri, ecco ciò che chiamiamo, in musica, il ritmo. La ripetizione dei toni ha un doppio obiettivo: soddisfare l’esigenza della simmetria che pretende d’essere compiuta, e giocare il ruolo di collegamento nella catena d’amplificazione. Gli stati spirituali e i toni in musica, che costituiscono qualità variabili e non permanenti che pretendono un incontro, o un luogo, in cui scendere per modificare il ritmo, trovano un’espressione simbolica nelle opere d’arte dell’uomo”.
Lo stato spirituale è a sua volta complementare del momento d’incontro e dell’inverso della stabilità. Traduce una molteplicità d’emozioni indescrivibili, unitarie, la cui sede è l’anima; è mutevole e permanente insieme, poiché la ricerca è lotta ma il misticismo è quiete.

Maqâmat. Stazioni spirituali, sono conquiste definitivamente acquisite. Hanno al contempo un atteggiamento attivo e uno passivo: introiezione/dilatazione; unione/separazione; sobrietà/ubriachezza; annientamento/sussistenza totale; presenza/assenza. Nel mondo ma non del mondo.

Hadrat. Le presenze. Come esempio le plurime realtà della calligrafia. E’ l’essere, completo, âlInsân âlKâmil.


Il Maestro Sufi

Quando lo incontri, agirà su di te, che tu sappia o no.
Quello che dice o fa può sembrarti incoerente o incomprensibile; ma ha un suo significato e un suo compito.
La sua intuizione e quella di colui che conosce ]a strada che sta percorrendo e che percorre la strada giusta.
Potrà frustrarti, ma perché ciò è necessario.
Potrà sembrare che restituisca male per bene, o bene per male, ma egli sa quel che è veramente necessario e ciò che è veramente bene e male.
Può darsi che tu senta parlar male di lui da quelli che lo combattono o lo temono, ma fanno ciò solo perché hanno paura di se stessi.
E’ modesto, pur sapendo scoprire quanto c’è da scoprire, e consentendo anche a te di scoprirlo lentamente.
Quando lo incontrerai per la prima volta ti sembrerà molto diverso da te. Non lo è. Potrà sembrarti molto simile a te. Non lo è.

il mondo della natura dell’uomo – l’Adamo dell’essere (nero grigio)
il mondo delle forme – il Noè dell’essere (blu)
il mondo della percezione spirituale – l’Abramo dell’essere (rosso)
il mondo dell’immaginale – il Mosè dell’essere (bianco)
il mondo dell’informale – il Davide dell’essere (giallo)
la natura divina – il Gesù dell’essere (nero luce)
1′Essenza divina – il Maometto dell’essere (verde smeraldo)

Testi liberamente tratti dallo shaykh Gabriel Mandel dai testi di alHallaj (?-922), Ibn ‘Arabi (?-1111), Safr alKbettani (1280-1372) e altri

Essere un Maestro Sufi

Essere un Maestro Sufi vuol dire diventare ciò che si può diventare, senza cercare di perseguire quello che – allo stadio sbagliato – è illusione.
Significa diventare consapevoli di quello che ci è possibile, e non ritenersi consapevoli di quanto invece si sta trascurando.
Il Sufismo è la scienza di acquietare ciò che va acquietato, e di risvegliare ciò che va risvegliato. E’ anche la scienza che fa capire 1′impossibilita di acquietare o di risvegliare quel che non lo può essere, o di credere d’aver bisogno quando non c’è bisogno.
Significa realizzare 1′unità nascosta nonostante le esigenze poste dalla diversità, e non per mezzo di queste esigenze.
Significa tenere conto dei mezzi che nella diversità si presentano, senza pensare che i suoi aspetti esteriori possono essere in se stessi importanti.
Occorre avvicinarsi al Sufismo studiando il modo di imparare a imparare; non cercando di acquistare conoscenza senza attuare la giusta pratica per conseguirla.
Ci si avvia a diventare un Maestro Sufi rendendosi conto che costumi e preconcetti sono fatti essenziali solamente entro determinati ambiti; ma non creando un costume o un nuovo preconcetto, né giudicando sulla base dei preconcetti.
Occorre diventare consapevoli della non-importanza allo stesso modo con cui si è consapevoli dell’importanza; e senza cercare soltanto i sentimenti importanti.
Sapere che 1′umiltà è uno strumento necessario per il viaggio, se opportunamente corretta dall’ambizione, che si terrà del tutto lontana dall’orgoglio e dalla presunzione.
Adottare ciò vale quanto vale e laddove vale, ma solo per coloro per cui vale Non imitate per timore ancor meno per ammirazione, e mai per imitazione.
Il concentrarsi sulle aspirazioni non conduce all’elevazione; per cui non saranno le parole che guariranno, bensì il metodo corretto di sceglierle e di dirle al momento opportuno.
Un uomo, un libro, una scuola, un metodo applicabili a tutti, o ancora: quando entusiasmano tutti, sono come una trappola tesa per catturarvi attraverso 1′elemento più deleterio che c’è in voi.


Le Virtù

Le virtù per la Teologia Cristiana:

1) secondo il loro oggetto: TEOLOGALI (Fede, Speranza, Carità). Oggetto formale: Dio

MORALI (principali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) Oggetto formale: qualcosa di altro che Dio

2) secondo la loro origine: INFUSE direttamente dalla grazia divina;

ACQUISITE con al costanza del retto comportamento

3) secondo il loro fine: NATURALI

SOVRANNATURALI

3) secondo il loro grado: EROICHE (precipue della santità)

COMUNI


Le Virtù del SUFI:

CONOSCENZA

COERENZA

PERSEVERANZA

TOLLERANZA

Empatia universale

Equilibrio universale

La CONOSCENZA si acquisice con il disvelamento dei simboli, la compenetrazione del linguaggio, l’esperienza spirituale (il dhikr conduce dall’esperienza all’illumianzione)

La PERSEVERANZA è rinforzata dalla preghiera canonica, dall’osservazanza del digiuno rituale

La TOLLERANZA consiste nel rispetto delle religioni, dei pensieri, delle persone altrui, entro i limiti dei comportamenti legittimi ed empatici della reciprocità

Tutte queste VIRTÙ rette dall’EQUILIBRIO si basano su:

  • Pazienza

  • Rinuncia

  • Sincerità

  • Accettazione

  • Umiltà consapevole

  • Certezza

Il fine ultimo della pratica di queste virtù è il raggiungimento, attraverso l’ILLUMINAZIONE, di una realizzazione personale (alinsân alkâmil) che disveli a ciascuno di noi la scintilla divina che è in noi: ossia il ricongiungimento pieno a Dio avendo superati i veli dell’ignoranza


I sette livelli dell’essere

Fin dal primo momento in cui abbiamo fatto il nostro ingresso nella scuola del Sufismo, ci hanno parlato dei sette livelli dell’essere. Questi sette livelli sono come esami in un sistema educativo che ognuno deve superare per ottenere la laurea. Però nel nostro sistema le valutazioni sono fatte da un’Autorità più Alta di qualunque insegnante.

L’aver superato o no un esame ci viene reso noto mediante sogni veritieri, ed è attraverso l’interpretazione di questi che l’insegnante assegna nuove responsabilità e nuovi compiti al ricercatore. Ma ciò che è più importante e che il ricercatore stesso dovrebbe essere in grado di realizzare qual è il proprio stato, cosi che possa passare allo stato successivo al quale egli aspira. Ovviamente è in primo luogo necessario che egli sia cosciente, consapevole del proprio carattere e delle proprie azioni, e che sia sincero nell’osservare se stesso. Ma è anche necessario che egli conosca a fondo le caratteristiche d’ogni livello, specialmente del livello in cui presume di essere e del livello successivo al quale egli spera di giungere.

Quindi ancora una volta dobbiamo accingerci a studiare le caratteristiche dei sette livelli dell’essere e cercare di vedere a che livello siamo. Con la speranza che questo tentativo incrementi i nostri sforzi per raggiungere il livello immediatamente successivo e ci renda attenti a non regrederire al livello più basso.

Non è assolutamente in dubbio che il potenziale per la perfezione è presente in ogni esser umano, poiché Iddio Altissimo ha posto i Suoi Divini Segreti nell’essenza dell’uomo, al fine di far apparire dai regni sconosciuti i Suoi Bei Nomi e Attributi. Ma noi abbiamo dimenticato la perfezione che è stata posta prima che giungessimo in questo mondo rivestiti di carne e ossa. Il nostro essere fisico e il suo attaccamento al mondo in cui vive, copre e lascia nell’oscurità la bellezza e la sapienza che sono nascoste in noi e ci ha fatto dimenticare la nostra origine: ci ha lasciato in uno stato d’ignoranza.

Dio nella Sua Misericordia ci ha rivelato nei Suoi Libri Divini degli insegnamenti e ci ha inviato i Suoi profeti e i Suoi santi come guide ed esempi per insegnarci e riportarci alla consapevolezza, alla luce, dalle tenebre con le quali noi abbiamo coperto noi stessi. A quelli di noi che sono in grado di svegliarsi, che riscoprono ciò che di santo c’è in noi stessi e che desiderano giungere più vicini al nostro Creatore e alla nostra origine, che è la perfezione, è stato promesso che se “facciamo un passo verso Dio, Lui ci correrà incontro”.

L’uomo ha due anime. Una è detta Ruhu Hayvani, l’anima animale, e l’altra Ruhu Insani, l’anima umana. L’anima animale è una sostanza creata, raffinata che controlla la vita, la mente, i sensi, i sentimenti, le emozioni, la volontà e i movimenti del corpo fisico. E il nostro essere, che si collega a quest’anima è detto “io animale”, l’io governato dai desideri della nostra carne o Nafsi Ammara, l’io che comanda il male, che è il primo e il più basso dei sette livelli dell’essere.

Il Nafsi Ammara è una manifestazione dell’anima animale nell’uomo, mentre i sei gradini successivi all’io che comanda il male sono lo sviluppo dell’anima umana, che è N anche chiamata Nafsi Natiqa, l’essere che può comunicare con il linguaggio, o l’Essere Razionale.

I successivi sei livelli sono:

  • Nafsi Lawwama, quando l’uomo ascolta la voce della sua coscienza e tenta di resistere ai suoi desideri carnali;

  • Nafsi Mulhima, quando l’uomo riceve istruzioni dirette mediante le ispirazioni del suo Signore;

  • Nafsi Mutmainna, quando l’uomo è liberato dall’auto-indulgenza e trova pace e tranquillità nel suo stato di pietà e obbedienza al suo Signore;

  • Nafsi Radiyya, quando l’uomo accetta tutto ciò che gli accade senza alcun risentimento o sofferenza e quando il bene e il male diventano uguali per lui ed è contento della sua sorte;

  • Nafsi Mardiyya, quando l’uomo assume gli Attributi Divini, abbandonando al sua materialità

  • Nafsi Safiyya, quando l’uomo raggiunge la purezza della perfetta armonia.


Nafsi Ammara

In questo primo livello dello sviluppo dell’uomo, l’io razionale e la coscienza umana sono stati sconfitti dalla cupidigia e dai desideri carnali. A questo stadio il nostro io non riconosce alcuna barriera morale o razionale al prendere ciò che vuole. Esso si esprime con l’egoismo, l’arroganza, l’ambizione, la tirchieria, l’invidia, l’ira, il cinismo, l’oziosità e la stupidità. All’origine gli io, i nostri se, le nostre identità, le nostre personalità e realtà, sono uno dei doni che il creatore ha fatto all’uomo. Ma poiché noi gli permettiamo di inclinare verso i valori materiali, di trarre piacere solo dalla vita mondana e poiché soccombiamo ai desideri della carne, allora diventa brutto e diventa quasi come un animale, mentre la sua forma rimane quella di un essere umano. È una belva camuffata da uomo, un pazzo animale selvaggio che morde e azzanna se stesso e gli altri. Quest’io è il nostro diavolo privato, il nostro peggior nemico, che vive dentro di noi, ci domina e ci tiranneggia e tiene la nostra anima umana imprigionata e dimenticata nelle profondità del nostro subconscio. Se siamo abbastanza fortunati da essere condotti da una guida alla ricerca di uno stato migliore, allora il diavolo ci sussurra nelle orecchie: “Che affare fai ad essere su questa via? Non vedi che tutti quelli che sono su questa Via alla fine muoiono? Tutto ciò che rimane di loro sono poche parole. Lo so che desideri la Verità, ma dove sono i saggi uomini in grado di insegnarti qualcosa? Mostrami un solo singolo uomo santo che riceve rivelazioni, che può mostrare dei miracoli! Essi appartengono ad un’altra epoca. Ora è l’epoca dei fatti, della scienza, della prosperità e del benessere. Se vuoi essere religioso – va bene! Vai alla moschea, prega, digiuna e prega gli spiriti di questi santi uomini del passato che ti aiutino, perché non c’è più nessun valido insegnate vivente!”

In questo modo il diavolo nasconde la verità. Kufr, infedeltà, significa coprire, nascondere in arabo. Kafir, l’infedele, significa colui che nasconde qualcosa. Il diavolo nasconde il fatto che in ogni epoca esistono uomini perfetti al mondo e insegnanti validi che possono condurre alla salvezza.

Il nostro maestro, l’inviato di Dio (saws), ha due aspetti. Uno è la sua profezia, hubuwwa; l’altro è la sua santitudine, la sua amicizia, la sua vicinanza a Dio, o walaya. Lui è Hatemul Enbiya: l’ultimo, il Sigillo della Profezia, ma il suo altro aspetto di santitudine è sempre stato e sempre sarà ereditato dagli uomini perfetti, che lo amano e lo imitano, e questi esisteranno in ogni epoca fino alla fine dei tempi. Ma se il ricercatore presta la benché minima attenzione alle insinuazioni del diavolo, allora soffre di dubbi sul suo maestro, è distolto dalla Via, i suoi sforzi sono rallentati e i suoi orecchi si protenderanno di nuovo verso i sussurri del diavolo il maledetto. Questa volta dirà: Dio perdona, fai conto sulla Sua Misericordia, a Lui non dispiace la gente che fa le cose che Lui permette. Sii dolce con te stesso e non tiranneggiarti. Se tu sarai gentile con il tuo io e gli darai ciò che vuole, allora ti obbedirà!”. Se il ricercatore viene ingannato da queste tentazioni, comincerà a dubitare; non gli sarà chiaro quali cose siano legittime e quali no, se sono giuste o sbagliate. Quando ciò accade è più probabile che egli scelga l’illegittima, poiché di solito è la più piacevole per i sensi. E più i suoi sensi sono soddisfatti, più il suo cuore sarà accecato e indurito, e più sarà incline al male.

A livello dell’io che comanda il male, tutte queste influenze sono molto forti. Per uscirne fuori, ci vuole qualcuno che ci prenda per mano e ci districhi. È molto difficile se non impossibile farlo da soli.

Ma mediante l’aiuto di Dio, tu puoi ascoltare la voce della ragione che dice, “fare ciò che Dio ci permette di fare grazie alla sua Misericordia, invece di fare ciò che ci ordina di fare, è la professione delle creature pigre”. Per il vero servitore di Dio è un obbligo vivere secondo le regole della Shariat e gli ideali della Tariqat.

E se noi seguiamo questa decisione razionale, che è un dono immeritato di Dio Altissimo oppure siamo salvati dalla nostra miseria da un solido insegnante, allora potremmo salire al secondo livello del Nafsi Lawwama. Così l’anima è spinta fuori dalla caverna tenebrosa dell’io alla luce della coscienza, e noi vedremo la nostra arroganza trasformata in umiltà, la vendicatività e l’odio in amore, l’ira in dolcezza, la lussuria in castità … Se Dio vuole.


Nafsi Lawwama

Questo è il secondo passo nello sviluppo dell’uomo. Quando l’uomo diventa cosciente delle sue azioni è in grado di distinguere il giusto dallo sbagliato, si dispiace per i suoi atti sbagliati. Egli non è ancora in grado di smettere del tutto di commettere errori perché è molto difficile rompere le abitudini del suo stadio precedente. Egli prova a seguire gli obblighi della sua religione e prega, digiuna, fa la carità e tenta di comportarsi in modo decente. Ma vuole essere noto come una persona trasformata. Pubblicizza la sua pietà, i suoi buoni atti e si aspetta apprezzamento dalla gente. Questo rende il suo comportamento ipocrita. Talvolta egli realizza tutto ciò, e si dispiace e tenta di cambiare. L’ipocrisia, uno dei peccati maggiori, è il pericolo principale in questo stato.

Esistono altri due gravi pericoli: l’arroganza e l’ira. Ogni piccolo sforzo di essere buono, comparato con lo stato precedente, sembra un gran risultato. In tal modo pensiamo di essere i migliori, e ci adiriamo con gli altri che sembra non ci rispettino. L’arroganza, il mentire a se stessi, l’ipocrisia, l’ira e l’intolleranza, sono i soldati del diavolo. Al livello del Nafsi Lawwama non siamo in salvo dal diavolo, che ci inietta nelle vene il suo carattere di arroganza e ci sussurra nelle orecchie: “tu adesso sei buono quanto i tuoi insegnanti; non solo sai quanto sanno loro, ma il tuo comportamento è migliore. Se essi fossero in grado di applicare alle proprie vite quello che insegnano sarebbero la metà di te. Tu non hai bisogno delle loro prediche e dei loro consigli. Che adesso la gente veda la tua sapienza e i tuoi atti cosicché tu possa essere loro di esempio.” Non solo i sussurri del diavolo, ma a questo stadio l’intera vita mondana è contro il ricercatore. Per lui Certamente il mondo non può perdere la sua attrattività; lo chiama e lo tenta.

Se la risolutezza del ricercatore è debole, sarà afflitto dall’arroganza, non ascolterà i buoni consigli, e, di fatto, combatterà contro quelli che vogliono il suo bene, pensando che essi lo stiano sminuendo e che facciano i superiori. Adirato, può tentare atti più grandi di quelli che è in grado di compiere, e fallire. Il fallimento lo farà adirare ulteriormente. Il suo umore diventerà nero, deluso; penserà di avere preso la via sbagliata, che stava meglio prima e potrebbe biasimare quelli che lo hanno condotto sulla Via, ricadendo nella condizione precedente di animale in forma umana.

Se il ricercatore viene messo in guardia da questi pericoli all’inizio del secondo stadio di Nafsi Lawwama e se è abbastanza intelligente da non lasciare la mano che lo conduce, e se segue i consigli su come combattere i tre nemici dell’ipocrisia, dell’ira e dell’arroganza, supererà velocemente questo stadio. Più a lungo resta in questo stato transitorio, peggiori saranno le difficoltà.

La cura per l’ipocrisia, sta nel realizzare che il valore di ogni cosa in questo mondo, incluso l’opinione degli altri, è temporanea, incostante e soggettiva, mutevole di minuto in minuto, da luogo a luogo, da persona a persona, e infine scompare. Quindi uno dovrebbe scegliere ciò che è permanente, eterno e potente invece di qualcosa che oggi c’è e domani non c’è più. Quale folle accenderebbe una candela in pieno sole? Non fare affidamento sul rispetto e l’elogio degli altri, e non temerli. Poiché è stato detto: “Chiunque ti loda è tuo nemico perché è un alleato dei tuoi nemici e chiunque ti indica i tuoi errori è nemico dei tuoi nemici.”

La cura per l’arroganza è ricordare che sei venuto da una goccia di seme di tuo padre e da un uovo nel ventre di tua madre, e che finirai come un putrido cadavere nella terra. Bellezza, forza, intelligenza, presto diminuiranno e spariranno. Tutte le tue fortune, proprietà reputazione e amici non ci saranno quando sarai calato da solo nella tua tomba. Le tue preghiere, la tua pietà, i tuoi buoni atti, se fatti per impressionare gli altri, svaniranno, e ancora peggio si rivolteranno contro di te. Realizza che tutto ciò che hai, incluso il tuo corpo e la tua stessa vita, non sono tuoi, ma sono ti sono prestati e affidati dal tuo Creatore. Anche le tue azioni, se sono buone, sono Sue e se sono cattive sei tu che stai tiranneggiando te stesso. Offri grazie per ogni cosa e prova vergogna per i tuoi errori. La caduta di chi sta in basso è meno dolorosa di quella di chi sta in alto.

La cura per l’ira è fondamentalmente raggiunta se puoi curare la tua arroganza. È l’arrogante che si adira per le avversità, persino se ha meno riconoscimenti di quelli che pensi gli spettino. L’emozione negativa dell’ira, quando scoppia, è più veloce dello sforzo razionale di sopprimerla. Una volta che si è accesi d’ira è difficile estinguerla. Come il fuoco, brucia tutto ciò che di umano c’è in noi; compassione, amore, gentilezza, generosità, la capacità di comunicare, di pensare alle conseguenze, e l’intelligenza sono ridotte in polpette. Tutto ciò che rimane è un pericoloso animale selvaggio ferito.

Come rimedio per richiamare e ricordare la propria umanità, l’inviato di Dio (saws) suggerisce che quando siamo colpiti dall’ira, immediatamente dobbiamo cambiare posizione. Se si è in piedi, dovremmo sederci. Se si è seduti, dovremmo inginocchiarci. È difficile urlare e maledire nell’umilissima posizione di ingínocchíato.

Oppure ci si dovrebbe sdraiare sulla schiena e pregare: “Oh Signore, arricchiscimi con la conoscenza, abbelliscimi con la gentilezza, dammi il dono della pietà e della paura e dell’amore per Te e la sanità mentale e la salute, Amin”. Oppure si dovrebbero fare abluzioni con acqua fredda.

Se potessimo evitare questi pericoli, con la volontà di Dio e la guida della nostra religione e l’aiuto del nostro maestro e il nostro desiderio di avanzare, potremmo salire al terzo livello del Nafsi Mulhima, il livello dove si ricevono le ispirazioni del nostro Signore.


Nafsi Mulhima

Questo è lo stadio in cui il ricercatore viene ricompensato per i suoi sforzi, la sua costanza e la sua obbedienza al maestro. Ora lui riceve occasionalmente messaggi dal di dentro: parole senza suono, ispirazioni che gli danno la direzione, l’incoraggiamento e la forza per continuare nel suo progresso. Ci sono ancora gravi pericoli, il peggiore dei quali è che il diavolo è capace di imitare le ispirazioni divine. E il ricercatore potrebbe non essere in grado di distinguerle. Questo è il motivo per Cui a questo stadio la guida di un maestro è così necessaria, di uno che sia in grado di distinguere tra la vera ispirazione e le false immaginazioni ispirate dal diavolo.

È durante questo periodo che la relazione tra il ricercatore e il suo maestro dovrebbe essere più stretta. Il ricercatore non dovrebbe nascondere nulla al suo insegnante: dovrebbe rivelargli tutte le sue speranze, le sue paure, le sue mancanze, persino se nutre del risentimento o dell’opposizione verso di lui, deve confessarglielo. Questi sono come i sintomi di una malattia che un ammalato deve rivelare al dottore in cui ha fiducia. Proprio come tiene conto dei consigli dati o della dieta prescritta, o prende diligentemente le medicine prescritte, se obbedisce al consiglio del suo maestro, sarà in grado di avanzare.

La voce dell’io potrebbe facilmente essere erroneamente presa per ispirazione, specialmente quando l’io cambia il suo vocabolario da materiale a spirituale. Il suo scopo è isolare il ricercatore dai suoi compagni nella ricerca e dal loro insegnante. I suoi fratelli sulla Via gli sembreranno degli schiavi ossequiosi del maestro e il maestro un tiranno egocentrico che trae vantaggio dal suoi seguaci; in realtà i suoi fratelli e i suoi maestri sono degli specchi in cui vede la propria bruttezza. Quando ciò accade, il diavolo maledetto gli parla, pretendendo di essere un’ispirazione, e dice; “Ora hai visto e capito tutto. Ora sai tutto. Tu sei un uomo saggio, un insegnante tu stesso. Perché devi obbedire e fare tutte questo cose non necessarie che il tuo insegnante ti impone. Lui sta tentando di pretendere di essere ancora superiore a te. Abbandona lui e i suoi seguaci che non hanno penetrato il significato interno delle cose e continuano a praticare il lavoro esteriore di pregare e servire. Tu sei ora a un livello nel quale il tuo Signore ti parla direttamente. Quindi svolgi il lavoro interiore: medita, sforzati di ascoltare i messaggi segreti che ti giungono …”.

In questa tempesta il solo salvagente che lo salverà dall’annegare saranno le regole della sua religione. Deve pregare, digiunare e fare la carità con più fervore e attenzione che mai. Soprattutto deve cercare di far rivivere i sentimenti di amore che una volta provava per il suo shaykh e i suoi fratelli sulla Via. Perché l’amore cura tutte le malattie e l’amante è in grado di seguire tutti i desideri dell’amato.

Un’altra afflizione durante questo periodo è un mutamento nella comprensione e nella sensibilità. È come se dimenticasse tutto ciò che sapeva, persino la sua idea di se stesso. Le nuove impressioni non corrispondono alle vecchie. Egli è in grado di vedere le cose in modo differente, di fraintenderle, di sbagliare. Si sente come se non esistesse. Può immaginare di aver raggiunto il livello finale di Fana Fillah – smarrire se stessi in Dio. Ma questo sentimento non ha nulla a che fare con quell’alto stato. Dovrebbe realizzare che è uno stato di impotenza, di vuotezza, uno stato di bisogno disperato, lo stato del Fakr, lo stato che è stato elogiato dal nostro Profeta (saws), che ha detto, “Sono orgoglioso del mio fakr”.

Ma se il ricercatore si e stancato di combattere contro il suo io ed è diventato mal disposto nell’esecuzione dei suoi doveri religiosi, allora ode di nuovo la voce del diavolo, “il tuo Signore è il tuo segreto e tu sei il segreto del tuo Signore. Hai raggiunto l’obiettivo finale di perdere te stesso in Dio, l’Eterno. Tutto ciò che è stato proibito o reso obbligatorio per i suoi servi non si applica a te. Qualunque cosa ti venga in mente, falla, perché tutto ciò che tu fai viene da Lui ed è corretto. Tu non hai alcuna responsabilità”

Possa Dio proteggerci da una tale eventualità, perché cadere in questo stato è come cadere giù dalla cima di un alto edificio. È mortale. Uccide il cuore. Chi è senza cuore non ha coscienza né paura di Dio; diventa un giocattolo del diavolo. Ruba, uccide, beve, diventa un dissoluto; non c’è limite ai peccati che commette. È anche cieco quando sta per cadere nella fossa dell’inferno, quando il suo shaykh e i suoi fratelli sulla Via tentano di trattenerlo, lui scalcia e tira e c’è il pericolo che li spinga all’inferno con lui.

Ma Dio Onnipotente salverà quelli che tengono conto degli avvertimenti e che si attengono alla loro religione e alla mano del loro insegnante. E che alimentano l’amore che sentono per il loro shaykh e i propri fratelli sulla Via per amore di Dio. E sicuramente sarà spinto al livello della pace e dell’armonia nel regno del Nafsi Mutmainna.


Nafsi Mutmainna

Questo stadio è il posto sicuro raggiunto dal ricercatore dopo un lungo e difficile combattimento con il diavolo privato, il suo io, e l’esercito dei diavoli che lo tentano nella sua vita di questo mondo. Per essere in grado di raggiungere questo livello, deve avere placato ambedue. Così è relativamente libero dai pericoli. Ora è sotto il comando della sua anima umana. Che trae piacere nel seguire le regole della religione e l’esempio del Profeta (saws). Possiede le qualità che Dio loda: è gentile, generoso, paziente, perdonatore, sincero, grato, contento e in pace. Ha udito Dio dire:

“O tu che hai trovato pace
Ritorna al tuo Signore, contento con Lui
E Lui contento di te.
Entra tra i miei bravi servi
Ed entra nel mio Paradiso.”

Lui trova la sua pace, la sua felicità, la sua delizia, nel suo Signore. Gli è stato dato il cielo in terra. Entra in Paradiso in vita.

Ogni parola che scaturisce dalle sue labbra o è dal Santo Corano o dalla tradizione del Profeta (saws) o dall’insegnamento dei santi. La sua adorazione e devozione sono nutrimento per la crescita della sua anima. È un insegnante non solo mediante le parole, ma con l’esempio. I miracoli che accadono tramite lui, li attribuisce ad altre cause, non li rivendica mai, li ripudia al punto di negarli. Ogni sua azione corrisponde alle regole della religione. Lui ha riguadagnato il nome di Insan, vero essere umano; il nome deriva dalla parola uns, essere vicino, intimo con il proprio Signore. Così il suo Signore lo prenderà per mano e lo condurrà senza molte difficoltà da qui in poi.


Nafsi Radiyya

Ahimè! Veramente pochi uomini possono aspirare a raggiungere questo alto stato. Da questo livello compreso in su il ricercatore non impara, con le parole o l’esempio, da altri che se stesso, mediante la Ilm al Yaqin, la conoscenza acquisita. Ora ha raggiunto il livello della conoscenza tramite l’esperienza personale e le rivelazioni: Ayn al Yaqln, Certezza. Fin qua ogni cosa era relativa. Ora lui offre la Verità. La manifestazione di questo stato è amore, amore che tutto avvolge. Vede tutto e ogni cosa come atti perfetti di Dio, così li ama come le azioni, fil, dell’Amato. Raggiunge la perfetta sottomissione a ogni cosa che accade. Questa è la “Verità dell’Islam”. C’è una perfetta armonia, di cui egli e conscio. Non ci sono possibilità di errore perché lui è il maestro del suo io, e l’io stesso è diventato un Musulmano, sottomesso al suo Signore. Lui non vuole altro che ciò che ha. Quindi non chiede a Dio alcunché per se. Ma quando prega per qualcun altro, le sue preghiere sono immediatamente soddisfatte. Lui siede sul trono nel regno spirituale, mentre il mondo esteriore è presente per servirlo. La sua accettazione, sottomissione, piacere. gratitudine e amore per il suo Signore sono così perfetti, che il Signore risponde con il Suo piacere per il Suo servo.


Nafsi Mardiyya

A questo livello si manifesta il legame tra il Creatore e il creato, con un amore comune ad entrambi. Il Creatore trova nell’uomo perfetto le qualità che Egli gli ha conferito quando lo ha creato, cosi come ha detto:

“In verità abbiamo creato l’uomo nella forma migliore …”

I Suoi Bei Nomi, i Suoi Attributi, che ha insegnato a nostro padre Adamo, si manifestano nel ricercatore. Così l’uomo perfetto che ha raggiunto il livello dove merita il piacere di Dio, ha perso tutte le sue caratteristiche fisiche animali così come i suoi aspetti umani imperfetti sotto il comando del suo io. Ora i Divini Attributi di Dio sono manifesti in lui e lui vede la Vera Realtà, la Verità, perché è benedetto con Ayn al Yaqin, la Certezza. Lui vede bellezza in ogni cosa, ama tutti, perdona le colpe di quelli che non sanno, è compassionevole, generoso, dà, non chiede mai, serve con tutto ciò che ha per portare gli altri alla luce dell’anima e per proteggerli dai pericoli dei loro io e dall’oscurità della loro mondanità. Tutto questo lo fa per amore di Dio e in Suo nome.

È difficile riconoscere questi esseri. Il loro stato non può essere descritto a parole. Non possono essere paragonati ai concetti che uno conosce ordinariamente. Una loro caratteristica particolare identificabile è che sono sempre in uno stato di perfetto equilibrio, come il centro di un circolo, come il fulcro di una bilancia: giusto nel mezzo, né di più né di meno, il mezzo. Dio ce lo chiede, il Profeta (saws) ci avvisa, tutti lo desiderano, ma nessuno riesce a raggiungere quest’obiettivo di eqilibrio eccetto questi uomi perfetti.


Nafsi Safiyya

Nel mezzo di ogni cosa, avendo trovato il centro, l’anima trova il proprio luogo. È un punto, senza lunghezza o estensione, non ricopre alcun area o spazio. Così è pura. Non esiste desiderio, non esiste richiesta. È l’inizio e la fine. È come il punto sotto la Ba e il punto sopra la Nun, tutta la conoscenza è contenuta in esso. Quando l’essere che possiede questa anima pura si muove, i suoi movimenti sono un potere che reca beneficio; quando parla è sapienza e musica per le orecchie; quando appare è bellezza e gioia per chi vede. Tutto il suo essere è adorazione, ogni cellula del suo corpo è in continua lode del suo Signore. È umile. Sebbene sia senza peccato, versa lacrime di pentimento. La sua gioia è vedere l’uomo che si tende verso il suo Signore, la sua pena è vederlo smarrirsi. Più di ogni cosa ama quelli che servono Dio. È adirato con quelli che si rivoltano. Tutto ciò che desidera per l’umanità è ciò che vuole Dio, e teme per il destino degli infedeli. È giusto, più che giusto! È quello che intercederà per i peccatori.


Dio è il più sapiente. Possa guidarci sulla Retta Via e condurci ai livelli che incontrano la Sua approvazione e ci dia la pazienza, la perseveranza, la forza e la sapienza per avere successo nella Via. Amin.

[Adattato da Marifetname di Hd. Ibrahim Hakki Erzurumi (1703-1780) dallo Shaikh Tosun Bayrak al-jerrahi Zul-Qi'dah, 1420]


Reciprocità

(da un testo di M. Goldsmith e M. Wharton)

Gli estroversi hanno bisogno degli introversi

perché li tengano concentrati e non li facciano distrarre dagli stimoli esterni

per esplorare le profondità interiori

per avere profondità e concentrazione nei lavori in comune

perché li aiutino ad accettare e ad apprezzare la solitudine

perché li aiutino a diventare consapevoli di ciò che accade dentro di loro

perché li aiutino ad ascoltare gli altri

perché li aiutino nei lavori lunghi, lenti o noiosi.


Gli introversi hanno bisogno degli estroversi

perché li aiutino a far conoscere le loro opinioni durante le riunioni

perché li aiutino a conoscere e a farsi conoscere

per mantenere vivi i rapporti e le conversazioni

perché gli estranei e le novità siano bene accolti

per rompere il ghiaccio in ogni occasione sociale


Gli intuitivi hanno bisogno dei sensoriali

perché facciano cogliere loro i dati più importanti

perché leggano le istruzioni o la parte stampata in piccolo nei contratti

per avere pazienza e perseveranza

per poter mettere una certa dose di realismo nei sogni e nei problemi

per poter apprezzare quello che offre il momento presente

per poter essere tenuti al corrente di dettagli essenziali

per prendere nota e sapere dove stanno le cose

per accorgersi di quello che va fatto “adesso!”

per ricordarsi che la vita va vissuta e goduta “ora!”.


I sensoriali hanno bisogno degli intuitivi

per sviluppare una visione del futuro e di quel che potrebbe accadere

per affrontare le difficoltà con ingegno e con gusto

per prevedere e interpretare il cambiamento

per avere entusiasmo

per avere suggerimenti su nuove possibilità di fronte a un problema

per essere pronti quando arrivano nuovi elementi essenziali

per saper vivere in presenza di varie alternative

per rammentare che vale la pena di prevedere le gioie del futuro e di impegnarsi per ottenerle.


I sentimentali hanno bisogno dei pensatori

perché li aiutino ad analizzare fatti e situazioni

perché li aiutino in questioni organizzative

perché facciano i lavori spiacevoli quando ci sono di mezzo le persone

per aver fermezza quando c’è opposizione

per trovare gli errori

per ristrutturare o correggere

per attenersi a una linea di condotta in cui si crede, quando questa viene fortemente criticata.


I pensatori hanno bisogno dei sentimentali

per non perdere di vista il fattore umano

per conciliare e persuadere

per consigliarsi su ciò che provano le persone

per far nascere 1′entusiasmo

perché li apprezzino come pensatori.


I percettivi hanno bisogno dei giudicativi

perché li aiutino a giungere ad una decisione

perché forniscano loro un po’ di organizzazione e di tecnica

perché rammentino loro la fedeltà alle radici

per dare loro il senso del tempo e del suo scorrere

per aiutarli a far fronte alle scadenze

per mostrare loro i vantaggi derivati da una vita ordinata

per rammentare loro 1′esistenza di autorità superiori

perché si accertino che i lavori da compiere vengano svolti.


I giudicativi hanno bisogno dei percettivi

perché li aiutino a non essere troppo frettolosi

per poter apprezzare la varietà delle possibili scelte

per capire che un insuccesso non è per forza un disastro

perché si possano liberare dalla tirannia del consuetudinario

per essere aiutati a vedere le regole come funzionali al servizio e non dispotismi imperativi

perché vedano autorità e gerarchie nella giusta prospettiva

perché si rendano conto di quanto tempo c’è veramente a disposizione

per divertirsi e rispondere ai bisogni del momento.


«Quando si scopre il segreto di un solo atomo si scopre anche il segreto di tutte le cose esistenziate, apparenti o nascoste, e tu cessi di vedere i due mondi come altro che Dio: i loro nomi e ciò che questi indicano sono svuotati di Realtà. O anche: i loro nomi e ciò che questi indicano, e la loro esistenza stessa sono Lui, senz’ombra alcuna di dubbio. Tu non vedi Dio come avente creato mai una qualsiasi cosa, ma come essente “ogni giorno un’opera” (Corano 55°29), che a volte Lo manifesta e a volte L’occulta, e ciò di fuori da ogni modalità concepibile (bi lâ kayfiyya) [...]. E’ Egli stesso il Nome e il Nominato. Cosi come è necessario che Egli sia, è necessario che ciò che è “altri che Lui” non sia. In effetti ciò che credi che sia “altri che Lui” non è affatto “altri che Lui”. L’altro che Lui è sempre Lui: la Sua trascendenza esclude che un “altri che Lui” sia veramente “altro”: 1′altro che Lui è Lui stesso senza che vi sia realmente alterità, sia esso con Lui o in Lui, interiormente o esteriormente.

[...] Quando tu conosci che non si può dare a Dio un contrario, un simile, un eguale o un consociato allora, ecco, tu conosci realmente te stesso [...]. Così il conoscitore e il Conosciuto sono uno; e il conoscitore è 1′attributo del Conosciuto. Allora si capisce che si tratta di “conoscere”.»

Awhad âlDin Balyâni: “Risâlat âlWahda âlMutlaqa”


1 - Qualche notizia storica sul Sufismo.


Il sufi è un essere umano come tutti gli altri,

si deprime come tutti gli altri, si ammala

come tutti gli altri, muore come tutti gli altri.

Ma egli è consapevole di avere un’anima

che non si deprime, non si ammala, non muore.


Quando in Europa l’Impero Romano, faro luminoso di civiltà e di cultura, fu annientato dalle popolazioni barbariche, la Chiesa ne mantenne intatti gli alti valori e la lingua, ed i monaci nei loro conventi ne perpetuarono gli insegnamenti e i contenuti.

Del pari quando il mondo islamico, luminoso esempio di civiltà e di cultura soprattutto nel campo delle scienze, fu invaso dai Mongoli gengiskhanidi, il Corano ne mantenne intatti i valori, ed i Sufi con le loro Confraternite ne perpetuarono gli insegnamenti e i contenuti.

Secoli dopo l’invasione dei Mongoli, venne la cesura delle colonializzazioni, a causa delle quali – anche per reazione – alla religiosità aperta e luminosa nella vita quotidiana si andò sostituendo una sorta di bigottismo fanatico di cui una parte dell’Îslâm, soprattutto quello wahabbita, soffre ancor oggi; e alla scienza si andò sostituendo la magia. Solo i Sufi dell’Asia seppero mantenere vivo il puro Îslâm e portare avanti le arti e le scienze.

E allora: che cosa è il Sufismo? È la via Mistica precipua dell’Îslâm, e se non si è musulmani non si può essere sufi, così come i monaci sono i mistici del cristianesimo. Il Sufismo è una realtà altamente complessa, intelligibile nella sua pienezza solo da colui che la vive dentro di sé. Per darne una idea,cito qui alcuni brani di due eminenti maestri sufi.

Ha scritto Sayed Husein Nasr: “Come il respiro che anima il corpo, il sufismo ha infuso il suo spirito in tutta la struttura dell’Îslâm, sia nelle manifestazioni sociali, sia in quelle intellettuali. Le Confraternite dei sufi (Turuq, singolare Tarîqa), ampia matrice della società islamica, hanno esercitato il loro influsso durevole e profondo su tutta la struttura della società, benché la loro funzione primaria fosse quella di custodire attraverso i tempi le discipline spirituali e renderne possibile la trasmissione da una generazione all’altra. Sono poi state affiliate al Sufismo anche organizzazioni iniziatiche secondarie, che andavano dagli ordini cavallereschi – ai quali competeva la sorveglianza delle frontiere islamiche – alle corporazioni e ai diversi gruppi artigiani associati nelle futuwwat, e risalenti alla persona stessa di cAlî bn Âbû Tâlib, cugino del Profeta (ss) [e quarto "califfo ben diretto"]. Non è possibile compiere uno studio approfondito della società islamica senza prendere in considerazione queste “società entro la società” [...], né sono comprensibili molti problemi della storia islamica senza avere presente la funzione fondamentale svolta dal Sufismo. Anche nel campo dell’istruzione l’azione del Sufismo è stata profondissima, dal momento che il suo compito fondamentale è l’educazione totale dell’uomo, al fine di farlo giungere alla piena e perfetta realizzazione di tutte le sue possibilità. La diretta partecipazione di molti sufi (ad esempio del ministro selciukide khwâjah Nizâmi âlMulk) alla fondazione di università e di madrase (le facoltà universitarie), come pure il ruolo svolto da centri sufi nella diffusione dell’istruzione, rendono l’influsso del sufismo inseparabile dallo sviluppo culturale dell’Îslâm. E ancora: quando, durante certi periodi, in alcune regioni il sistema educativo tradizionale fu distrutto, – ad esempio in quello conseguente alle invasioni dei Mongoli – i centri sufi rimasero gli unici depositari anche del sapere ufficiale e accademico, e sulla base delle loro conoscenze si poterono ricostruire le scuole tradizionali.

“Nel settore delle scienze e delle arti l’influsso del Sufismo fu enorme – afferma sempre Nasr -. Nell’Îslâm la tradizione del Sufismo è strettamente connessa allo sviluppo delle scienze, ivi comprese le scienze naturali. In quasi tutte le forme d’arte, dalla poesia all’architettura, l’affinità con il Sufismo è particolarmente marcata [...]. Per l’Îslâm stesso la Divinità è bellezza, e per il Sufismo, che costituisce il midollo dell’Îslâm e ne contiene tutta l’essenza, questa peculiarità appare particolarmente accentuata. Non è fortuito che i testi di più elevata qualità e bellezza siano quelli scritti dai sufi.

“Nel campo della letteratura islamica tutto ciò che vi è di più universale appartiene al Sufismo. Lo spirito del Sufismo innalzò le letterature araba e persiana da lirica locale o tuttalpiù epica ai vertici sublimi della letteratura didattica e mistica di portata universale, arricchendo più d’ogni altro l’arabo e il turco nella loro prosa e il persiano nella sua poesia. Inoltre molte lingue del mondo islamico strettamente locali raggiunsero l’apogeo in mano ai sufi, e debbono il loro sviluppo e la loro persistenza al genio di poeti sufi.

“La stessa situazione è analogamente riscontrabile nel campo della musica, dell’architettura, della calligrafia, della miniatura. Molti dei principali architetti musulmani sono collegati al Sufismo tramite la simbologia e la Sezione aurea; molti maestri calligrafi e molti miniatori lo furono appartenendo a una Confraternita sufica. Per ciò che riguarda la musica, nell’Îslâm essa è legittimata e permessa solo sotto forma di concerto spirituale (samâc) precipuo del Sufismo, sicché la tradizione della musica classica araba, iraniana e turca è stata coltivata attraverso i secoli soprattutto dai sufi. Certi sviluppi della grande musica indiana sono direttamente connessi alla pratica del Sufismo. Insomma: i sufi sono “la gente del sapere sapienziale” e “della visione” (dhawq). Non a caso questo termine indica, in arabo e in persiano, anche buon gusto e senso artistico. I sufi sono stati cultori delle Arti non perché ciò costituisce uno scopo del sentiero sufi, ma perché seguire il Sufismo significa diventare più consapevoli della bellezza divina che si manifesta dovunque, e alla luce della quale i sufi, conformemente alla bellezza della propria natura e secondo le norme artistiche della tradizione, creano capolavori che riflettono la bellezza dell’Artefice Supremo”.

E, secondo Si Hamza Boubakeur, “il Sufismo in se stesso non è né una Scuola teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, anche se si pone di sopra da ogni obbedienza. E’ innanzi tutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, d’equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente. Lungi dall’essere una innovazione o una via divergente parallela alle pratiche canoniche, è anzitutto una marcia risoluta d’una categoria di anime privilegiate, prese, assetate di Dio, mosse dalla scossa della Sua grazia per vivere solo per Lui e grazie a Lui nel quadro della Sua legge meditata, interiorizzata, sperimentata”.

Sempre secondo Si Hamza Boubakeur, “le componenti della dottrina sufi sono l’amore totale per DIO; la gnosi che superando la conoscenza intellettuale imperfetta e incompleta unisce direttamente il sufi al divino, da cui la certezza della Sua esistenza e dell’impossibilità di capirLo con le sole forze umane; il raggiungimento della conoscenza intuitiva; l’ascesa mistica attraverso una serie di stati e di stazioni, integrati dalla rammemorazione (dhikr) e dall’estasi.”

Le Confraternite dei Sufi sono dunque comunità ben organizzate, che si sono sgranate lungo il corso dei secoli. Punta di diamante dell’Îslâm, dal momento che l’Îslâm non si presenta come un blocco monolitico ma ha varie coloriture, varie sfaccettature e varie istanze a seconda dei luoghi geografici e delle diversificazioni storico-sociali, anche il Sufismo ha vari aspetti. Si può dire che la sua vera origine è situabile nell’Asia turco-iraniana, che per ragioni storiche ha riassunto e inglobato insegnamenti esoterici buddhisti, indù, classico-egizi e cristiani pur scaturendo da una matrice sciamanica non mai sopita; mentre in certe zone dell’Arabia e del Nordafrica – soprattutto nei due ultimi secoli – è andato poi anche degenerando in aspetti folcloristico-popolari, che del misticismo sufico hanno ben poco, e anzi rischiano di screditarne l’immagine.

Vi è quindi nel Sufismo, sì, una luminosa omogeneità di intenti, sui quali però – come su una tela di fondo – le varie correnti, le varie Confraternite, i vari Maestri e i singoli sufi hanno ricamato con una versatilità eccezionale. Da qui la fondazione di Confraternite maggiori e minori, in una sorta di gemmazione continua, talché, invece di svettare come una palma carica di datteri, l’albero del Sufismo si presenta ricco di mille rami, ed ogni ramo è frondoso e carico di frutti.

Resta il fatto che base imprescindibile del Sufismo è il Corano, correttamente letto, meditato, interpretato, come diceva appunto Si Hamza Boubakeur. Di conseguenza:

comportamento corretto (Corano, 2ª177; 25ª63-76; 28ª54-55).

rispetto per le persone (Corano, 25°68; 4ª93; 17ª33; 5ª22);

senso della pace (Corano, 4ª90; 8ª61; 6ª54; 22ª39-40).

rispetto per le religioni (Corano, 7ª188 e 67ª26; 2ª256; 2ª 62; 2ª136; 22°67; 5ª 68-69). Il Versetto coranico 29ª46 recita: E non disputate con le genti del Libro se non nel modo più cortese, eccetto con quelli di loro che agiscono ingiustamente, e dite: “Crediamo in ciò che è stato fatto scendere a noi e in ciò che è stato fatto scendere a voi; il Nostro [Dio] e il Vostro sono uno. A Lui noi siamo sottomessi.” L’emiro Âbd âlKader (1807-1883), commentando questo versetto, scrisse: “Il nostro Dio, quello dei cristiani, degli ebrei, dei sabei e delle sette deviate, è Uno, come Egli ci ha insegnato. Egli Si è manifestato a noi con una teofania differente da quella con cui Si è manifestato nella Sua rivelazione ai cristiani, agli ebrei ed alle altre confessioni. Di più: Egli Si è manifestato alla stessa comunità di Maometto con teofanie molteplici e differenti, il che spiega come questa comunità, a sua volta, comprenda fino a settantatré sette differenti, entro ciascuna delle quali bisognerebbe ancora distinguere altre sette, pur esse varie e divergenti, come constata chiunque ha familiarità con la teologia. Ora, tutto ciò nasce soltanto dalla diversità delle teofanie, che è funzione della molteplicità di coloro cui esse sono destinate e della diversità delle loro predisposizioni essenziali. Nonostante questa diversità, Colui che si epifanizza è Uno, senza mutamento dall’eternità senza inizio all’eternità senza fine.”

* * *

Riassumiamo e coordiniamo allora, qui, qualche dato storico. Possiamo riconoscere alla storia del Sufismo quattro grandi periodi, o tappe.

1) Dal VII all’VIII secolo, si hanno le prime manifestazioni e la prima diffusione, e v’è una certa confusione tra i mistici (i sufi) e gli asceti, o malâmatiyya (“quelli del biasimo”, una sorta di religiosi simili ai “Piagnoni” medioevali), che a volte si avvicinano alle confraternite monacali cristiane, o nei quali gruppi di malâmatiyya confluiscono a volte monaci cristiani passati all’Îslâm. La confusione è aumentata dalla situazione politica, in cui l’Amministrazione è affidata agli Iraniani, la Difesa ai Turchi e la Magistratura agli Arabi. La cultura islamica, comunque, pare ancora una derivazione del Tardo Antico. E’ il tempo dei mistici âlHasan âlBasri (642-729) e Rabîca âlcAdawiyya (713-801), una delle più famose tra le donne sufi.

2) Nel secondo periodo, dal IX al X secolo, mentre le lotte e le controversie politiche che caratterizzano il vasto mondo islamico si riflettono sulla formazione delle più importanti Confraternite sufi, si assiste in generale ad una preponderanza del pensiero turco che opera una graduale autonomia della cultura islamica, sottraendola del tutto alla sua prima derivazione dal Tardo Antico. Gli Arabi vengono ricacciati quasi totalmente nella loro penisola, e sorgono importantissimi stati indipendenti, soprattutto ad opera delle genti turche e andaluse. Gli Arabi cercano di mantenere il predominio nell’àmbito della Teologia; e nella situazione generale di controversie religiose vi è appunto per questo, da parte loro, una crescente ostilità nei riguardi del Sufismo. Per ciò che attiene in particolare al Sufismo, va considerato che i Turchi si caratterizzavano per l’aperto interesse verso tutte le formulazioni fideistiche. Un esempio: in periodo pre-islamico il Buddhismo si diffuse in Cina proprio grazie ai regni turchi della Cina del Nord (in particolare il regno Wei, 386-551). Loyang, capitale dei Turchi Tabgaç, ebbe oltre 1.300 pagode e, per ordine di Thopa Hong II° (471-499) furono creati nelle grotte di Longmen i capolavori dell’arte buddhista d’ispirazione grecoromana, secondo modelli importati dal Gandhàra (Afghànistàn). E’ da tener presente che il Buddhismo è una religione elitaria, e si esprime soprattutto nel coordinamento dell’ordine monastico, ben organizzato e potente. Non è da escludere che quando in quelle zone l’intellighenzia turca passò dal Buddhismo all’Islamismo, gran parte della classe monastica buddhista sia a poco a poco defluita in quello che si può chiamare il “monachesimo” dell’Îslâm, il Sufismo. Ancora nel XIII° secolo molti monaci buddhisti aderirono alla Kalandariyya (ordine sufico del Khorâsân sorto nel IX° secolo), e solo dopo la sua diffusione verso Occidente per opera di Sâvî (1168-1231) questa Confraternita perse ogni echeggiamento buddhista allineandosi del tutto alla Sharîca islamica.

E’ il tempo di grandi Maestri dall’illuminato pensiero: Muhâsibi (781-857), Bistâmi (?-874), Junayd (?-910), Dhû âlNûn âlMisrî (771c.-861) e soprattutto âlHallaj (858c.-922), martirizzato e ucciso per ordine di teologi limitati e giudici corrotti.

3) Nel terzo periodo (secoli XI-XV) si assiste al trionfo del Sufismo. E’ il periodo d’oro: teologi fra i più eminenti dell’Îslâm, come il turco âlGhazâlî (1050-1111) e l’andaluso Îbn âlcArabî (1165-1240), gettano un ponte ben solido fra la Teologia e il misticismo dei sufi. Grandi figure di prua danno l’avvio a Confraternite fra le più importanti: cAlî Sharaf âlDîn (1182-1235), Hasan âlShazûlî (1196-1258), Shustarî (1201-1269), Jalâl âlDîn Rûmî (1207-1273 considerato il Dante Alighieri della gente turca), âlRifâcî (?-1175), âlBadawî (?-1280), âlNaqshbandî (?-1388), Shihâb âlDîn Suhrawardî (1155-1191), Muhammad âlKhalwatî (?-1398).

4) Il quarto periodo va dal XVI secolo ai giorni d’oggi. Si apre con il grande fiume delle sei maggiori Confraternite: Qâdiriyya, Shâzûliyya, Suhrawardiyya, Naqshbandiyya, Mevleviyya e Khalwatiyya (in turco Halveti, il cui ramo mediano sono i Jarrahi) , cui se ne affiancheranno lungo i secoli almeno una ottantina ancora di minori, derivate dalle sei maggiori che le riconobbero e le autorizzarono.

* * *

Ecco dunque, chiaramente, il perché d’una varietà di comportamenti, di rituali, di preminenze dialettiche a volte, tra le varie Confraternite, ferma restando, come dicevo più sopra, la tela di fondo del misticismo che rende luminoso il concetto dell’Unico esistente: Dio. “Tutte le strade conducono ad un’unica meta”.

In definitiva l’organizzazione delle Confraternite consiste in gruppi di musulmani anelanti a Dio, iniziati dal capo della Confraternita, che è l’erede diretto del carisma (la baraka) trasmessogli dal fondatore della Confraternita stessa; e a volte può esserne anche l’erede per sangue. Dal capo della Confraternita si risale al fondatore attraverso una serie precedente di Capi, in una catena precisa e ininterrotta, la salsalat âlWird (o silsila). Il fondatore ha trasmesso loro una particolare preghiera rituale (wird, o hizb), costituente il fondamento del rituale comune; e un testamento mistico, o “raccomandazione” (wasiya).

Il sufi (apprendista, compagno o maestro) fa quindi parte di una tekké e partecipa alle riunioni rituali (hadra). Esse sono di due tipi: una è dedicata alle discussioni, ai postulati, alle delucidazioni, all’istruzione, a quant’altro il Maestro ritiene necessario per la progressione spirituale; ed una è dedicata al dhikr collettivo. E’ abbastanza normale, in queste riunioni, iniziare con la preghiera comunitaria e con il pasto in comune. In varie Confraternite – non in tutte comunque – il dhikr comprende musica, canto e danza, una danza collettiva che spesso è chiamata âlZohd (l’ascesi). Numerosi sono quindi anche i sufi musicisti o cantanti.

In linea di massima la tekké ha proprietà (un negozio, o una scuola, o un mercato, o un ristorante) da cui ricava il necessario per le proprie spese. Se la proprietà della tekké è costituita da coltivazioni, persone pie di tanto in tanto vi lavorano gratuitamente, in una sorta di corvé collettiva (tuîza). In mancanza di ciò ogni sufi che lo può fare – non è assolutamente un obbligo: “nessun versamento di denaro inquini il Cammino!” (Âhâdîth, B. 75°33) – versa alla tekké un obolo (sadaka) per le spese di manutenzione.

Vi è da aggiungere: oggi sono anche sorte, in Occidente, per moda o per curiosità o sulla scia del New Age, pseudo-scuole di pseudo-sufi, imitatrici orecchianti delle pratiche esterne del Sufismo, ma che con il Sufismo nulla hanno a che fare. Non si possono definire sufi, quindi, e per di più molti dei loro aderenti non sono nemmeno musulmani. Ripeto: non si può essere sufi se non si è musulmani; non sussiste Sufismo di fuor da una tradizione solidamente accertata, non sussiste comunità sufi che non discenda direttamente dal venerato Maestro fondatore dal quale prese l’avvio.

Vi è poi una cosa ancora da aggiungere: vi sono dei fanatici che, pur proclamandosi musulmani, avversano il Sufismo, poiché avversano la pace, la bellezza, l’istruzione, la cultura, l’arte, l’aperta accettazione dell’altro, ed il rispetto di tutte le religioni, valori che il Sufismo propugna basandosi strettamente sul verbo del Corano correttamente letto e interpretato. In particolare sono contro il Sufismo quelle correnti musulmane che appoggiano l’operato nefasto di un dittatore per il quale il Sufismo è da eliminare con gli stessi mezzi coercitivi che usò Hitler nella Germania nazista. I dittatori sono tutti eguali, a qualsiasi paese appartengano e a qualsiasi religione si appellino. Se enumerassimo le distruzioni e gli egoismi fanatici nel mondo, facilmente ci accorgeremmo di quanto il Sufismo – e in generale ogni misticismo illuminato – sia, oggi, proprio oggi, necessario.

Uno dei più bei detti del Profeta, ripetuto spesso dai sufi, è: “Înna Âllâh jamîl, îuhibbu âlJamâl”: “certo, Dio è bello e ama la bellezza”. In effetti in questa breve frase è contenuto tutto ciò che è necessario all’essere umano: Dio, amore, bellezza. Se noi tutti compissimo i nostri atti sapendo che li stiamo compiendo al cospetto di Dio, e che a Dio dovremo renderne conto dopo la nostra morte; se li compissimo amando, amando gli altri e noi stessi; e se li compissimo belli (ritmo e simmetria), di certo tutto il mondo sarebbe in totale armonia, sarebbe davvero il pronao di un Paradiso ideale.

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Le origini del Sufismo, sigillo della Tradizione

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Il Sufismo si inserisce nell’alveo della Tradizione Primordiale di modo che risalti il suo ruolo di sigillo della rivelazione divina, e di sintesi degli insegnamenti iniziatici del passato, di quella tradizione che punta all’esperienza diretta del divino in noi.

 

Di Mike Plato

 

Cos’è il sufismo? La mia ipotesi è che questo movimento iniziatico in buona parte, sia una derivazione delle correnti essene e alessandrine che produssero lo gnosticismo di Alessandria. La cavalleria spirituale degli Ashishin (ismailiti di Alamut) fu erede della sapienza del tempio esseno, a tal punto che v’è una sospetta correlazione tra gli “ashidim” (esseni) e gli “ashissin”. Indiscutibili furono le influenze di questi cavalieri ismailiti sul sufismo, come le furono sui Templari. I resoconti storici documentano di scambi tra le correnti ismaelite, sufiche e templari, come è giusto che sia tra “fratelli in spirito”, a prescindere dalla religione o dal libro sacro di appartenenza. Si potrebbe ritenere che il Sufismo, nel suo intento di unione intima con Dio, debba le sue origini anche allo sciamanesimo che rimane comunque il nocciolo della Tradizione Primordiale, dato che esso insegna la salvezza individuale e le tecniche per “sciamare” verso la divinità interiore, indipendentemente da una religione organizzata. Molti concetti di evoluzione spirituale relativi ai regni sovra-mondani vennero, indiscutibilmente, da popolazioni sciamaniche del Turkestan, della Siberia e del Caucaso. Tuttavia, il sistema esoterico sufico è troppo sofisticato ed elegante per pensare che la matrice sufica sia solo sciamanica. E’ giusto, comunque, sottolineare che, al di là delle influenze iraniche, sabee, esseno-qabalistiche e sciamaniche, la peculiarità del sufismo è la diretta discendenza dagli insegnamenti e dalle rivelazioni esoteriche di Maometto, colui che aveva il privilegio di parlare con l’Angelo di Dio e di attuare l’ascensione (miraj), proprio come il cristianesimo gnostico deriva dalle rivelazioni del Cristo storico sulla costruzione del corpo di luce. Non si può prescindere da questo, né dal Corano, sul quale si concentrano gli sforzi interpretativi dei Sufi, che pure non disdegnano i testi sacri di altre rivelazioni divine. Inevitabilmente, i Sufi si prodigarono per replicare l’esperienza diretta del divino da parte di Maometto, proprio come alchimisti e rosacroce tentarono di replicare l’esperienza della “Merkaba” di Gesù.


Il giuramento

Le persone, più tardi note come Derwisci fecero nell’anno 623 d.c. un giuramento di fraternità e di fedeltà in Arabia. Questi costituivano il nucleo di Sufi musulmani, gli originari 45 individui della Mecca che fecero il patto insieme ad uno stesso numero di persone di Medina. E’ una costante delle grandi fratellanze vincolarsi alle origini con un sacro patto. Il patto fu sacro per gli esseni (come evincesi dai rotoli qumraniani), fu sacro per i templari, fu sacro per la massoneria delle origini. I Sufi non fanno eccezione. Ma i patti delle singole confraternite sono solo lo specchio di un patto primordiale, quello sancito dagli Angeli Vigilanti che calarono sul monte Hermon: “Giuriamo, tutti noi, e ci impegniamo che non ci ritireremo da questo piano, nessuno di noi, e lo porteremo a compimento. Allora tutti insieme giurarono e tutti quanti si impegnarono vicendevolmente” (Libro dei Vigilanti VI:3). Chi ha la vista lunga intuisce che gli stessi angeli che giurarono sull’Hermon saranno poi gli stessi grandi esseri che costituiranno le grandi confraternite iniziatiche votate alla Destra di Dio. Con il patto, ufficialmente, nacque quello che possiamo chiamare l’Ordine dei Sufi. In realtà, non dovremmo parlare di Ordine, per come esso viene concepito dagli iniziati occidentali, poiché essi ritengono che un Ordine debba avere schemi, regole ed una ritualità fissa. L’Ordine, per i Sufi, non è un’entità che si auto-perpetua con una gerarchia e premesse fisse. Il motivo risiede nel fatto che la natura del sufismo è evolutiva, e si adatta ai tempi e alle circostanze, la rigidità non essendo da loro contemplata. Quindi sarebbe più corretto parlare di scuole, di circoli (tekke), come lo sarebbe per la vera Rosacroce, che non si è mai strutturata in un Ordine costituito con una molteplicità di gradi, al modo della massoneria. Verso la metà del VII° secolo d.C., i Califfi arabi iniziarono ad espandere i confini dell’Islam a Nord, Est e Ovest, annettendo regioni sedi di antiche scuole mistiche e centri di conoscenza: l’Egitto alessandrino, da cui partì lo gnosticismo dei primi secoli dopo Cristo; Cartagine, ove S.Agostino aveva studiato ed insegnato le dottrine esoteriche pre-cristiane; la Palestina e la Siria, culle delle tradizioni segrete essene, ebraiche e frigie; l’Asia centrale col buddhismo esoterico; l’India con la sua tradizione esoterica vedica. I mistici arabi viaggiavano in questi centri esoterici, poiché credevano esistesse una profonda unità fra gli insegnamenti segreti di tutte le religioni. Anche gli altri esoterismi, secondo loro, originavano dalla “nicchia delle luci della profezia”. In buona sostanza, ricomponevano metaforicamente lo smembratissimo Corpo di Osiride o Corpo Ermetico, il corpus frammentato della conoscenza mistica. La particolarità dei loro insediamenti fu che questi antichi centri si trasformarono in centri di saggezza sufi. Il loro intento era evidentemente quello di integrare una conoscenza perduta e creare una rete che connettesse tutte le antiche sedi della Tradizione Primordiale. I Sufi, in un certo periodo della storia, furono veramente i depositari e custodi dell’antica saggezza, veri cherubini in terra. Lo divennero perché si comportarono come agisce un’ape che prende da fiori diversi. Essi stessi erano convinti di ritenersi eredi di un unico insegnamento, altrove diviso in molteplici parti, che poteva servire l’umanità come strumento di sviluppo. La Tradizione tramanda che i Sufi, nel senso di iniziati all’antica tradizione, siano esistiti in tutti i luoghi e tutti i tempi.


Scambi di conoscenze

Prima dell’Islam di Maometto, egli stesso Sufi, già esistevano con questo nome. Ma in realtà il loro vero nome era “Tasawwuf” che stà per “Sentiero, Percorso Spirituale” e la Via del Sufi è detta Tarika-Sufiyya. Possiamo affermare che, per la sua capacità provvidenziale di accoglimento e sintesi di tutte le forme della Tradizione Universale, fu l’Islam a poter leggere il nome del Graal scritto nelle stelle. Quindi, non dobbiamo solo ai Templari se la Tradizione di Melkisedeq e dei Vigilanti approdò in Europa, che ne era rimasta priva dalla fine della dinastia Merovingia (gli eredi della stirpe di Gesù) fino al 1118, anno di costituzione dell’Ordine dei Templari; lo dobbiamo anche e soprattutto ai Sufi. Il vicino Oriente, in quei tempi, era un crogiuolo dove si mescolavano e a volte si amalgamavano dottori ebraici, filosofi gnostici, cristiani nestoriani, manichei e sufi musulmani. Un simile crogiuolo lo potremo trovare più in là solo in Spagna, creando de facto una situazione irripetibile e irripetuta. Certamente vi furono scambi di idee tra gli iniziati che non si limitavano a semplici conversazioni. E’ abbastanza indicativo che le gilde salomoniche legate ai Templari abbiano preso per simbolo la rosa, prodotto alchimistico persiano, introdotta da Tibaldo IV di Champagne a Provins, e poi legata alla croce. E pare proprio che la tecnica alchemica alla base delle famose magiche vetrate delle cattedrali stesse fosse stata mutuata dai Sufi, capaci di fabbricare vetrate alchemiche già prima della loro introduzione in Europa, a partire dal 1100. Molti affermano che i Templari non avessero bisogno di apprendere dagli alchimisti musulmani, poiché avevano le Tavole della Legge alchemica (Tavole di Smeraldo), tratte dagli scavi sotto il tempio di Gerusalemme. E’ certo tuttavia che, a causa della vasta esperienza alchemica che i Sufi avevano sviluppato anche sulla base dei testi presenti ad Alessandria, alcuni Templari umilmente vennero iniziati da questi maestri di saggezza arabi. I Sufi, composti da Persiani e Siriaci, acquisirono le loro vaste conoscenze di astrologia, medicina e dottrina esoterica dell’antichità dai Grandi Magister sopravvissuti all’oscurantismo. La rottura del vecchio ordine nel Vicino Oriente, secondo la tradizione sufica, riunì le scuole esoteriche che operavano in Persia, in Egitto e nell’impero bizantino, facendoli confluire nella corrente sufica. A riprova, si trovano ancor oggi insediamenti sufici tra i turchi, i persiani, gli afghani, gli indiani, gli arabi, i malesi ecc. Di siffatto patrimonio gnostico si accorse persino S. Francesco, assetato di gnosi divina, il quale proprio da maestri Sufi dovette appropriarsi della “lingua degli uccelli”, un modo per indicare la segreta lingua e scienza degli spiriti (uccelli) e che fu il titolo, non a caso, di una nota favola iniziatica scritta da uno dei grandi maestri del sufismo: Farid ad-din Attar. I Francescani si appropriarono, traducendolo e studiandolo, di un’opera di un maestro Sufi, Avicebron di Malaga, il cui titolo era “Fonte di Vita”, opera basata sulla tipica filosofia di illluminazione sufi. Non fu casuale, poiché pochi sanno che l’ordine francescano, come quello benedettino, avevano fortissime connotazioni esoterico-iniziatiche. Lo stesso Francesco ebbe contatti ripetuti con i maestri Sufi e col Sultano di Babilonia e, unendosi agli eserciti della Quinta Crociata, visitò la Terra Santa, ove i primi Templari avevano la loro sede.


Il rapporto con l’ortodossia islamica

Il sufismo, pur nel rispetto della Sharià (legge islamica), ha sempre puntato al “batin”, il senso nascosto e spirituale delle scritture. Gli Ulama, i dottori della legge si scontrarono inevitabilmente con i Sufi, a causa del loro intento di monopolizzare l’interpretazione coranica. Essendo appoggiati dai governanti di Baghdad, inquisirono e perseguitarono molti Sufi, rei di insegnare l’esperienza diretta di Dio. Il maestro Mansur Al Hallay fu crocifisso a Baghdad nel 922, a mo’ di esempio per tutti. Questa politica persecutoria cessò in buona parte dopo il 1080, poiché il dottore della Sharià, Al Ghazali, attuò una politica di tolleranza nei confronti della famiglia esoterica dell’Islam, abbracciandone in segreto la corrente esoterica. Nel XII secolo sorsero i primi ordini del sufismo, grazie alla limitazione del potere califfale di Baghdad, e si diffusero le “tekke”, le loggie sufiche in cui le diverse scuole praticano e insegnano la via esoterica sotto la guida di uno Shaikh esperto. Ciò creò il terreno alla produzione di opere sublimi e alla libera espressione di grandi maestri dell’umanità: Ibn Arabi, Jalal od-din Rumi, Omar Khayyam, Farid ad-din Attar. Mi piace ricordare i primi due come fra i più grandi angeli vigilanti che mai abbiano messo piede sulla terra, autori di opere che è obbligatorio leggere e studiare per chi cerca realmente. L’influenza di questi esseri è ancor’oggi poco compresa.


L’influenza sufica in occidente

Si dovrebbe anche ricordare che la gran parte della tradizione alchemica dell’Occidente è giunta tramite fonti sufiche arabe, e che la cosiddetta Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto si ritrova, nella sua forma originaria, in arabo. I Sufi sostengono che il termine “Grande Opera” sia una frase sufica tradotta, e che la dottrina della coincidenza microcosmo-macrocosmo si trova anche nella tradizione sufica. Notevoli furono le conoscenze sufiche in termini architettura sacra. Dalla Sicilia, attraverso i sultani battezzati, tedeschi della stirpe Hohenstaufen, l’Europa settentrionale ricevette un tipo di questa conoscenza; prova ne sia l’adozione dell’architettura sufica per il grande castello Hohenstaufen, e il simbolismo sufico per il mantello dell’incoronazione del Re Ruggero I. Il grande Raimondo Lullo, maestro dell’Arte Combinatoria, alchimista e illuminato, era un adattatore di libri ed esercizi sufici. Ruggero Bacone sosteneva che la conoscenza derivante dall’Antica Tradizione era nota a Noé, Abramo, ai maestri caldei ed egizi, a Zaratustra, a Ermes, Pitagora, Anassagora, Socrate, Platone e ai Sufi. Alberto Magno, sapiente e mago, studiò nelle scuole arabe e ispirò Tommaso d’Aquino. Perfino Papa Silvestro II, segreto iniziato, fu iniziato alla saggezza sufica. Salomon Ibn Gabirol, un cabalista ebreo di Malaga si basò su dottrine iniziatiche sufi. Nel nono secolo d.c. uno dei personaggi più illuminati d’Europa fu Ibn Masarrah di Cordoba, che insegnò ad un gruppo selezionato di discepoli quello che sapeva delle altezze che la coscienza umana può raggiungere; e lo fece con i metodi sufi. Gli astronomi più celebri erano Sufi arabi. I Pianeti e le costellazioni traggono i loro nomi e il loro significato occulto dalla lingua araba.


I “sufi” senza maestro

E’ noto che i Sufi usassero indossare la “khirqa”, una pelle di lana di cammello, considerata il simbolo dell’investitura iniziatica, come faceva l’esseno Giovanni Battista (Marco 1.6), un ‘altro addentellato di rilievo con i mistici di Qumran, e persino con lo zoroastrismo iranico dato che Zarathustra era il “sacerdote (zaothar-sacrificatore) dal pelo di cammello (hustra)”, a testimonianza di una universalità della tradizione. Ciò spiega perché accanto ad un sufismo sunnita, molto legato al Corano e all’essoterismo islamico, si sviluppò parallelamente un sufismo iranico, vero erede della religione della luce di Zarathustra, e che trovò in Yaya Shorawardhi il suo misconosciuto e grandioso campione, talmente grande da meritare di morire martirizzato. Il sufismo iranico, a mio modo di vedere, potrebbe essere ancor più vicino alla Tradizione rispetto a quello sunnita. Essendo erede dello zoroastrismo, forse la religione alla base del sistema esoterico egizio, il sufismo persiano non contemplava la partecipazione dei suoi “cherubini” ad una “tariqat” (confraternita). I Sufi persiani detestavano che si sostituisse lo “shaykh” (maestro) all’imam nascosto, il maestro interiore. Per loro, l’esperienza doveva essere realmente diretta, verticale, senza bisogno di entrare in una tariqat e di qui nella “silsila” (catena iniziatica). Nessuna mediazione per giungere a Dio, tranne che quella dell’Angelo della Presenza, colui a cui si prostrerà il Sufi sunnita Ibn Arabi, colui che Arabi venererà come il Khidr (il verdeggiante), l’erede islamico di Osiride, il grande verde degli Egizi. In tal senso, quasi tutti i maestri Sufi persiani, e alcuni sunniti, saranno ricordati come “owaysi”, coloro che non hanno avuto un maestro umano, coloro che “scelgono” Khidr-Melkisedeq-Sophia, il maestro dei senza maestro. Forse, all’origine del sufismo ci fu questo afflato verso l’istruzione diretta da parte dello Spirito Santo. Ma, come è noto, nella mente umana c’è sempre la tendenza ad organizzare e strutturare, e quindi a complicare ciò che per natura è semplice e spontaneo.


Perché Sufi

Il termine “sufi” può avere una molteplice etimologia. Gli “Ahl Us-Suffa” erano “quelli della veranda”, i “compagni del profeta (Maometto)” che avevano lasciato ogni cosa per seguirlo, vivendo senza possedere nulla. “Safa” vuol dire “purezza” : i Sufi sono i “Puri” (in arabo “saf”) e condividevano questo appellativo con i fratelli esseni, già accomunati dalla qualifica di “poveri” in senso spirituale. La purezza è indice di appartenenza a quel piccolo popolo che è nel mondo ma non è del mondo, che professa una religione che il Corano descrive come religione delle origini: Hanifiyya. Essa è la religione pura ed assiale, ed Abramo è l’Imam degli uomini in seno a questa: “Abramo non era nè ebreo, nè cristiano, era un Hanif, dedito interamente a Dio e non era un idolatra (n.d.a. non adorava la forma fisica, la materia e le Potenze angeliche altrimenti note come Arconti) (Corano 3:67)”. Il Corano 98:5 afferma che la vera Religione sia adorare e glorificare Dio in semplicità di Culto. Gli Hanif non sono pagani, non antropomorfizzano la divinità ma la venerano in spirito e verità, pagano la decima (zakat) a Melkisedeq-Khezr, e temono l’Ultimo Giorno. E’ l’antichissima religione dei devoti, dei sottomessi, di coloro che si annientano per fare la volontà del proprio Signore, degli Amici di Dio, di coloro che puntano a divenire uomini nuovi realizzando in sè “colui che viene” :”Datti a me’ disse il Signore ad Abramo. ‘Ecco, tutto a te mi son dato’…’Figlioli miei, Dio vi ha scelto la sua religione, e non morite in altra fede che non sia la totale dedizione a Lui (Corano 2:131)”. E’ lo stesso principio enunciato da Gesù in Matteo 22:37, e considerato il massimo comandamento, come già decretato da YHWH in Deuteronomio 6:5 : “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, tutta la tua anima e la tua mente…Amerai il tuo prossimo come te stesso”. I Sufi, attraverso la voce di As Sulami, insegnano parimenti: “Non ho trovato nulla di più utile, oltre all’attestazione dell’Unità con Dio, della compagnia dei fuqara (n.d.a. i poveri Sufi)”. (8) Il passo citato sgombra il campo da facili interpretazioni. Quando Gesù parlava dei prossimi, intendeva sempre e solo i simili in spirito, i fratelli. Ora, proprio di Gesù, e non solo di Maometto, i Sufi erano emuli. A mio parere, se ammettiamo che l’Islam sia il sigillo della profezia, la chiusura della rivelazione, ebbene il sufismo a maggior ragione è il sigillo della rivelazione iniziatica. Ed è qui che forse troviamo il significato ultimo del termine “sufi”. Sia in ebraico che in arabo “sof” o “suf” significa “fine, termine”, proprio perché il sufismo è la sintesi ultima degli esoterismi. E lo è, per certi versi, ancor oggi. Il misterioso termine “araba fenice” si schiuderebbe, così, nel senso della grande resurrezione (già proclamata da Sabbà, Gran Maestro degli Ashishin) della Tradizione Primordiale attraverso il sufismo


Per approfondire il tema della dottrina iniziatica sufica attraverso il catalogo di Booxtore si consigliano:

Sciamanesimo e Tecniche dell’Estasi, M. Eliade, Mediterranee

La Lingua degli Uccelli, F. A. Attar, Mediterranee

Sufismo, Velo e Quintessenza, F. Schuon, Mediterranee

La Scienza Iniziatica, Al Qaisary, Il Leone Verde

La Vigilanza, Al Ghazali, Il Leone Verde

L’Essenza del Reale, Rumi, Psiche 2

Il Nodo del Sagace, Ibn Arabi, Mimesis

Introduzione al Sufismo, As-Sulami, Il Leone Verde

I Sufi, Idries Shah, Mediterranee

Un Santo Sufi del XX secolo, Martin Lings, Mediterranee;

Il Libro di Mirdad, Michail Naimy, Mediterranee

 

 

 

 

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SULLA GERARCHIA INIZIATICA ISLAMICA E AL-KHIDR

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a cura di Dario Chioli

da http://www.superzeko.net/


La denominazione più elevata è quella di Ghawth (SÝμ), 1 la «risorsa suprema» degli afflitti, il rifugio, il salvatore; è colui che, in ragione della sovrabbondanza della propria santità, e dell’influenza dei suoi meriti presso Dio, può, senza compromettere la propria salvezza, prendere su di sé una parte dei mali e dei peccati dei Fedeli. E questo è proprio il «Soter», salvatore degli Gnostici. Ma la credenza nel Ghawth non è limitata ai congregati. 2 La maggioranza dei musulmani crede che esista sulla terra una legione di santi che, da vivi, sono sconosciuti a tutti e a loro stessi. Sono sempre in numero di quattromila secondo gli uni, di trecentocinquantasei secondo gli altri, e formano ciò che viene chiamato il Ghawth al-`alam, 3 il «rifugio del mondo». «I beati che lo compongono sono disposti in sette classi, che vengono visti come altrettanti gradi misteriosi della loro beatificazione». La prima è occupata dal capo o corifeo di tale legione, distinto col nome di Ghawth a`zam 4 (grande Ghawth); la seconda, dal suo visir o primo ministro, con il titolo di Qutb, 5 che significa «polo»; la terza, è composta di quattro ministri Awtad 6 (paletti, puntelli di tenda)… 7 I nomi variano secondo i teologi e i dottori per quanto riguarda le altre classi di questi esseri privilegiati che da vivi hanno, a loro insaputa, accesso al cielo e un posto riservato nelle beate falangi che circondano il trono di Dio. La denominazione più elevata è quella di Ghawth (SÝμ), 1 la «risorsa suprema» degli afflitti, il rifugio, il salvatore; è colui che, in ragione della sovrabbondanza della propria santità, e dell’influenza dei suoi meriti presso Dio, può, senza compromettere la propria salvezza, prendere su di sé una parte dei mali e dei peccati dei Fedeli. E questo è proprio il «Soter», salvatore degli Gnostici. Ma la credenza nel Ghawth non è limitata ai congregati. 2 La maggioranza dei musulmani crede che esista sulla terra una legione di santi che, da vivi, sono sconosciuti a tutti e a loro stessi. Sono sempre in numero di quattromila secondo gli uni, di trecentocinquantasei secondo gli altri, e formano ciò che viene chiamato il Ghawth al-`alam, 3 il «rifugio del mondo». «I beati che lo compongono sono disposti in sette classi, che vengono visti come altrettanti gradi misteriosi della loro beatificazione». La prima è occupata dal capo o corifeo di tale legione, distinto col nome di Ghawth a`zam 4 (grande Ghawth); la seconda, dal suo visir o primo ministro, con il titolo di Qutb, 5 che significa «polo»; la terza, è composta di quattro ministri Awtad 6 (paletti, puntelli di tenda)… 7 I nomi variano secondo i teologi e i dottori per quanto riguarda le altre classi di questi esseri privilegiati che da vivi hanno, a loro insaputa, accesso al cielo e un posto riservato nelle beate falangi che circondano il trono di Dio. attribuita che a un morto; nessuno può aspirarvi da vivo; è la venerazione dei Fedeli che assegna questo onore postumo. Questi titoli tornano ad ogni momento nelle catene genealogiche degli ordini religiosi; ma non sono dati a caso e, sempre, l’epiteto che accompagna il nome d’un santo o d’un dottore ha il suo valore, perché indica, perlopiù, il grado d’importanza e d’influenza che il beneficiario ha avuto nella formazione dell’ordine che lo cita tra i propri sostegni. […] La credenza nella comunicazione di Dio con le sue creature è, in effetti, ammessa dai musulmani; essa può accadere per mezzo dei sogni, ma ha luogo soprattutto per mezzo di Sid al-Khadir. 19 Sid al-Khadir è il profeta Elia che, come il profeta Idris (Enoc), ha bevuto alla fonte della vita ed è stato risparmiato dalla morte. La sua personalità è sdoppiata: Elia erra sulla terra, Al-Khadir vive sul fondo del mare. Un giorno all’anno, si incontrano per mettersi d’accordo: Al-Khadir è allora l’intermediario ordinario tra Dio e gli uomini, svela loro l’avvenire e, soprattutto, conferisce loro i doni della baraka 20 e del tasarruf, 21 22 vale a dire il potere di fare miracoli e d’essere esauditi in tutto ciò che domandano per sé o per gli altri. Si comprende come l’investitura da parte di un simile personaggio conferisca importanza al suo eletto, presso un popolo pieno di fede e credulo 23 come il popolo musulmano. Così è in gran parte al carattere sovrannaturale della rivelazione fatta ai loro fondatori che bisogna attribuire l’influenza considerevole di cui godono le sette religiose degli `Isawiyya, dei Qadiriyya, dei Sanusiyya 24 e altre. Tutti i loro membri in effetti partecipano alla baraka trasmessa dagli eredi dei fondatori per mezzo dei capi dell’ordine, che possono, in talune condizioni note e chiaramente formulate nei libri di dottrina, entrare in comunicazione segreta e diretta con Al-Khadir e con il Profeta. Esiste sulla terra, a detta dei musulmani, un numero sempre costante di santi, quattromila secondo gli uni, trecentocinquantasei secondo gli altri. Distribuiti in sette classi, secondo il loro grado di santità, questi esseri privilegiati hanno, fin da questa vita, accesso al cielo e formano con la loro riunione il «rifugio del mondo», Ghawth al-`alam. 25 Al vertice della gerarchia si trova il «grande Ghawth», Ghawth a`zam, 26 il rifugio supremo, il salvatore; tale è la sovrabbondanza dei suoi meriti che egli può, senza compromettere la sua propria salvezza, dar soddisfazione per i peccati altrui. Sfortunatamente nessuno lo conosce, e lui stesso s’ignora. – Dopo il Ghawth, 27 ma a un grado inferiore, è posto il suo visir o primo ministro, col titolo di Qutb, 28 «stella polare, polo, asse del mondo»; è il santo più influente della sua generazione, quello che occupa il vertice dell’asse intorno al quale la povera umanità gira senza fine. Per maggior precisione, lo si chiama spesso Qutb al-waqt, 29 «il polo dell’epoca», Qutb al-aqtab, 30 «il polo dei poli». – Al di sotto del Qutb, si incontrano gli Awtad 31 o «puntelli»: non ve ne sono che quattro alla volta, uno per ognuno dei punti cardinali, con La Mecca al centro. – A differenza dei puntelli, i Khiyar 32 ovvero «gli eletti, i scelti, i migliori» sono missionari erranti; poco numerosi – non se ne contano che sette – sono sempre in movimento, portando in giro ovunque la fiaccola dell’Islam. – Gli Abdal o «mutanti» occupano il quinto grado della scala misteriosa; taluni interpreti ne contano sette, altri quaranta, altri infine settanta; ma, in ogni caso, i loro quadri sono sempre formati: quando uno di loro viene ad essere rapito dalla ineluttabile morte, un altro lo rimpiazza all’istante; da ciò il loro nome collettivo di «mutanti». – Mentre gli Abdal vivono soprattutto in Siria, i Nujaba’ 33 o «eccellenti», settanta di numero, preferiscono soggiornare in Egitto. – Il resto dell’Africa è posto sotto la protezione di trecento Naqib 34 o «capi di gruppo», noti soltanto ai loro eguali o ai loro superiori in santità; essi non hanno personalmente coscienza del proprio merito. I titoli che precedono si applicano a personaggi viventi; al contrario, quello di Wali 35 o «santo», corrispettivo del Makarios dei Greci, non potrebbe convenire che ai morti; è il risultato d’una sorta di canonizzazione popolare.

Cap. II, pp. 80-82
«Fuqara’, 36 diceva Al-Junayd, 37 voi che conoscete Dio e che l’onorate, esaminate come siete di fronte a Lui allorché, isolati, meditate sull’Altissimo». È in effetti con l’esame attento della propria anima che i sufi, con l’aiuto del proprio discernimento più o meno sottile e dei propri rapimenti di spirito, riconoscono se vi è esatta corrispondenza tra i doveri compiuti e i loro risultati. Riconoscendo in sé questo primo stato estatico, il sufi neofita esce dalla prigione tenebrosa della propria essenza e prova una percezione ben precisa degli intimi pensieri celati al fondo del proprio essere. La sua anima sale così, di stazione in stazione, fino al grado sublime in cui i centosessantamila veli che avvolgono i segreti divini si scostano e gli lasciano vedere «l’Impenetrabile». 38 In questo istante, i raggi celesti inondano il suo cuore, e il suo spirito, guidato dall’immagine del Dio «Uno», viene a trovarsi nel campo delle  luci dominanti.  «Là constata che l’essere reale e il principio produttore sono Dio, che ogni essenza è una scintilla della luce dell’essenza divina, che ogni qualità, scienza, potenza, volontà, udito, vista, è l’effetto della riflessione delle luci della purezza di Dio e un prodotto dei suoi atti». L’idea dell’unità perfetta si forma nel suo spirito e, a tali splendori divini, si ricollegano le realtà degli attributi, la tavoletta dei decreti divini, la realtà di tutti i profeti ed inviati, gli uomini realizzati della religione di Muhammad. Tra questi ultimi, al primo rango della gerarchia esoterica gli appare il Qutb 39 o Ghawth, 40 41 poi vengono gli Abdal, 42 plasmati sui 40 Nujaba’, 43 presi a loro volta tra i 300 Nuqaba’, 44 45 tutti giunti a questi diversi gradi di santità tramite le loro pratiche sufi e le buone opere e sostituiti, a mano a mano che Dio li invia presso di Lui, da coloro che, in numero limitato, sulla terra sopportano il peso dei peccati commessi dagli esseri umani e intercedono in loro favore presso l’«Unico» nel giorno dell’ultimo giudizio. Nel percorrere la distanza che li separa dal loro Dio, non saprebbero raggiungerli i corsieri più rapidi, i venti più impetuosi. Nella loro aspirazione verso l’Altissimo, le loro anime salgono senza sosta nelle alte volte eteree, consacrandosi a volontà
alle buone opere.

Cap. II, pp. 83-86
Ma torniamo ai sufi assorti nell’abisso della confessione dell’unità. Giunti alla conoscenza del trono sovrano, annullati in questo contatto divino, la loro anima si purifica dalle umane sozzure, dagli accidenti temporali, e i più perfetti, quelli che l’Essere sovrano ha giudicato degni di uscire da questo stato indefinibile, i privilegiati insomma, ricevono l’ordine o l’autorizzazione di chiamare gli uomini per mezzo del proprio esempio. La bontà
dell’Essere Supremo trasmette loro una scintilla della potenza divina (baraka), benedizione suprema, grazia incommensurabile, potenza infinita che si manifesta per il bene e per il male e che si trasmette di generazione in generazione, presso gli eredi spirituali che si succedono e traggono ispirazione dall’insegnamento e dalle qualità divine professate dal loro «maestro», dal loro shaykh, incaricato di portare a perfezione i progressi di coloro che per gradi s’avanzano verso l’Aldilà. 46 Circa il ruolo d’intermediario coperto da Al-Khadir nella trasmissione della baraka, lo Sceicco Sanusi s’esprime così: «Tra le pratiche sperimentate che possono far percepire in visione Al-Khadir e il nostro profeta (che la benedizione e la salvezza siano su di lui!) non vi è che quella che consiste nel ripetere la preghiera detta “ addu` a’ as-sayfi ” quarantun volte nella notte in cui si deve manifestare l’apparizione d’Al-Khadir» ecc

 

NOTE

1 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «R’outs».
2 N.d.C.: Louis Rinn usa l’espressione «congréganistes» per indicare gli appartenenti alle confraternite sufi.
3 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «R’outs-el-Alem».
4 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «R’outs-Adham».
5 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Qotb».
6 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «aoutad».
7 Nota di Louis Rinn: Mouradja d’Ohsson, tome I, p. 315. (Vedere nella Revue africaine del 1859, p. 15, un articolo di Brosselard).

8 Nota di Louis Rinn: Brosselard, loco citato.
9 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Qotb-el-Ouoqt».
10 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Qotb-el-Qtoub».
11 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «khiar».
12 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Nedjib».
13 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Nedjab».
14 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Neqib».
15 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «ouali».
16 Nota di Louis Rinn: Questa parola ha stessa origine di quella di wali, governatore; è della stessa famiglia di mawla, maestro.
17 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «oula».
18 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Ouali Allah».

19 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Sid-El-Khadir» e poi «El-Khadir».
20 Nota di Louis Rinn: La baraka è la benedizione, ma qui col senso d’abbondanza, di profusione, di sovrabbondanza di beni. — Il senso primitivo di baraka (ÄnL) è “accovacciarsi”, “inginocchiarsi”, ma prima di tutto “accovacciarsi schiacciati sotto il peso del carico”.
21 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Tessarouf».
22 Nota di Louis Rinn: Il tasarruf (¹n¡P), da sarafa (¹nz), è il dono d’essere dispensatore, e di disporre delle forze della creazione, nell’amministrazione del mondo.
23 N.d.C.: È qui evidente che Louis Rinn interpreta questi racconti come semplici leggende.
24 N.d.C.: Louis Rinn trascrive «Aouissya, Khadirya, Snoussya». Si tratta di tre note confraternite, l’ultima delle quali tra l’altro combatté strenuamente contro l’invasione italiana della Libia. Alla Qadiriyya, fondata da `Abd al-Qādir al-Jīlānī, appartenne l’emiro `Abd al-Qadir,
grande sufi e indipendentista algerino. Gli `Isawiyya sono anche noti come Aissaoua.
25 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «Ghouts-el-Alem».
26 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «Ghouts-Adham».

27 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «Ghouts».
28 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «Qotb».
29 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «Qotb-el-Ouoqt».
30 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «Qotb-el-Qtoub».
31 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «aoutad».
32 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «khiar».
33 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «Nedjab».
34 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «Negab».
35 N.d.C.: Louis Petit trascrive: «ouali».
36 N.d.C.: «Fuqara’» è il plurale di «faqir». Depont e Coppolani trascrivono: «Foqra».
37 N.d.C.: Depont e Coppolani trascrivono: «El-Djoneidi».

38 Nota di Depont-Coppolani: Il poeta Jami (De Sacy, Notice des manuscrits de la bibliothèque du roi, 1831), con un’esuberanza di dettagli incredibile, dispone gli «spirituali» in gradi che fa corrispondere a degli stati, più o meno perfetti, degli uomini che praticano il sufismo. E c’è bisogno, tanto elevata è talora la sottigliezza dei termini,di molta perspicacia per coglierne le sfumature: per esempio, il punto preciso in cui il faqir perviene alla qualificazione suprema di sufi, o l’uomo che, in cammino lungo la via, giunge alla stazione immutabile del parvenu, del sommerso nell’oceano della contemplazione. La stessa cosa vale per le altre qualità o imperfezioni che distinguono i Malamati, i Khadim ecc., i cui stati spirituali sono egualmente particolari.
39 N.d.C.: Depont e Coppolani trascrivono: «Qotb».
40 N.d.C.: Depont e Coppolani trascrivono: «Ghouts».
41 Nota di Depont-Coppolani: «Il rango che occupa tra i santi (wali), è paragonabile al punto centrale del cerchio (in rapporto ai raggi raffiguranti i santi), l’armonia del mondo dipendendo dal centro di questo cerchio» (hadith riportato da Ibn Mas`ud).
42 Nota di Depont-Coppolani: «Gli Abdal del mio popolo sono in numero di 40 individui, di cui 22 occupano la Siria e 18 l’Iraq. Ogni volta che uno d’essi muore, Dio lo rimpiazza con un altro. Quando verrà l’ora del giudizio ultimo, saranno tutti richiamati a Dio» (hadith secondo Anas bin Malik).
43 N.d.C.: Depont e Coppolani trascrivono: «nedjab».
44 N.d.C.: Depont e Coppolani trascrivono: «nekab».
45 Nota di Depont-Coppolani: «Si racconta, come riportato da Ibn Mas`ud, quanto segue: L’Inviato di Dio (su di lui la benedizione e la pace divina) ha detto: Dio, il Benedetto, l’Altissimo, ha sulla terra 300 uomini la cui anima è fatta ad immagine di quella di Adamo, 40 la cui anima è fatta ad immagine di quella di Mosè, 7 la cui anima è fatta ad immagine di quella di Abramo, 5 la cui anima è fatta ad immagine di quella di Gabriele, 3 la cui anima è fatta ad immagine di quella di Michele, 1 la cui anima è fatta ad immagine di quella di Israfil. «Quando l’ “Unico”, l’ultimo menzionato, muore, Dio gli dà un sostituto di tra i tre (che vengono immediatamente dietro di lui); quando uno dei tre muore, Dio gli dà un sostituto di tra i cinque; e similmente per le altre serie fino a quella di 300, i cui sostituti sono presi tra i  gli uomini comuni. «È per loro tramite che Dio storna i mali dal popolo musulmano». Gli autori musulmani non sono concordi sul numero dei personaggi in questione, ma la fede in ciò che riguarda il loro stato o la loro missione è generale. Si riportano di `Ali bin Abu-Talib (Dio sia soddisfatto di lui), queste parole: Gli Abdal dimorano in Siria, i Nujaba’ (i nobili) in Egitto, gli `Asa’ib (i legatori) in Iraq; i Nuqaba’ (capi preposti) nel Khorassan; gli Awtad (paletti, puntelli) sono sparsi su tutta la superficie della terra e Al-Khadir (il profeta Elia) è il maestro della Legione. Si riporta di Al-Khadir quanto segue: Il numero di 300 rappresenta i Wali; quello di 70, i Nujaba’; 40, gli Awtad al-`ard; 10, i Nuqaba’; 7, gli `Urafa’ (che ben conoscono); 3, i Mukhtarin (eletti, scelti); uno di questi ultimi tre è il Ghawth. (Estratto del Rawd al-riyahin (Vita dei Santi) [N.d.C.: più precisamente, il titolo di questo testo di al-Yafi`i, sufi yemenita del XIV secolo, è Rawd ar-riyahin fi hikayat as-salihin, ovvero “Giardino delle brezze che spirano dai racconti di santi”], pp. 8-9, traduzione di Sicard, interprete militare al Governo generale).

46 Nota di Depont-Coppolani: Secondo i musulmani, taluni sufi possono egualmente ricevere la baraka e il dhikr per la mediazione di Al- Khadir o Al-Khidr (il profeta Elia), che dirige la legione dei personaggi: Abdal, Nujaba’ ecc. di cui abbiamo parlato in precedenza. «I musulmani (come del resto molti cristiani del medioevo e anche dei giorni nostri) credono che due umani privilegiati siano stati esentati dalla morte: Enoc ed Elia. Per i musulmani, Enoc (Idris) è entrato vivo e con scaltrezza nel Paradiso; poi non ha più voluto uscirne. Quanto a Elia, hanno sdoppiato la sua personalità e ne hanno fatto due personaggi distinti: uno, Elia, deve, per ordine divino, errare sulla terra fino al giorno dell’ultimo giudizio, l’altro, Al-Khadir (che per i cristiani d’Oriente è oggi San Giorgio), vive abitualmente sul fondo del mare. «Una volta all’anno, Elia ed Al-Khadir si incontrano per accordarsi. Al-Khadir è l’intermediario tra Dio e gli uomini che Dio ha scelto per svelare loro il segreto di ogni cosa (ciò che viene chiamato Fath, apertura), ovvero per conferire loro qualche dono sovrannaturale, tra gli
altri quello d’essere con certezza esauditi nelle preghiere che fanno, sia a favore che contro una creatura (ciò è detto il dono di baraka)». (Estratto da un lavoro di Pilard, interprete militare in congedo, sui Sanusiyya, 30 maggio 1874). La leggenda musulmana non conosce l’identità di questi due personaggi l’uno dei quali è «Mukallaf al-barr» (occupato sul continente) e l’altro «Mukallaf al-bahr» (occupato sul mare). Essi s’incontrano annualmente in occasione del pellegrinaggio alla Mecca. Quanto alla loro genealogia, «Elia è il figlio di Yasin, figlio di Eleazaro, figlio e successore d’Aronne ecc. ovvero, secondo altri, Elia è figlio di Pinehas, figlio di Eleazaro. Mas`udi fa menzione dell’identità di Elia con Idris (Enoc)». A queste informazioni tratte dal Culte des saints chez les musulmans (“Revue des Religions”, 1880-2), in cui Ignace Goldziher rigetta un’opinione di Ganneau, consistente nell’affermare che Al-Khadir – Elia non costituiscono presso i musulmani che un solo personaggio, l’autore aggiunge: «Quanto a Al-Khadir, è cugino o visir di Alessandro il Grande o Dhu’l-Qarnayn; secondo altri, il figlio di un babilonese credente che espatriò insieme ad Abramo ovvero un figlio proprio di Adamo». «Al-Khadir è ugualmente un titolo d’onore nella gerarchia dei sufi più elevati. Ciò si ricava da un passo di Abu Hajar al-`Asqalani [N.d.C.: morto nel 852/1448]: «Quando il Khidr muore, il Ghawth recita la preghiera dei morti su di lui nella cella d’Ismaele, sotto la grondaia, nella Ka`ba. In questa occasione cade su di lui una foglia, su cui è scritto il suo nome. Egli così diviene Khidr; il Qutb della Mecca allo stesso tempo perviene alla dignità di Ghawth. Si dice che il Khidr del nostro tempo è Hasan bin Yusuf az-Zubaydi, della tribù di Zubayr [N.d.C.: nel testo francese c’è “Zoubeïl” ma mi pare un errore ] dello Yemen; si trovano informazioni più precise su di lui in `Abd al-Ja`far bin Nuh al-Qusi [N.d.C.: egiziano, morto nel 708/1308] nella sua opera Al-wahid fi suluk ahl al-tawhid (Ad-durar alkamina. Manuscrits de la bibliothèque impériale de Vienne, cod. mixte n° 245, vol. II, fol. 1719) (vedi Corano, versetto 64 e segg. del cap. «La Caverna»). Quanto al nostro argomento, dobbiamo soprattutto tenere a mente che il dono di baraka conferisce al santo sufi il potere sovrannaturale di operare miracoli. Noi trarremo, più avanti, da questa credulità che fa sì che i musulmani in generale finiscano per considerare i più gravi eventi o le futilità della vita come conseguenza della benedizione o della maledizione d’un beato detentore della baraka, le deduzioni che tale credulità comporta [N.d.C.: è evidente che anche Depont e Coppolani, come già Louis Rinn, manifestano totale incredulità verso i miracoli dei sufi].

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LA CONTEMPLAZIONE NEL SUFISMO

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Preliminare: il rapporto tra Islam e sufismo.

Prima di parlare direttamente del tema proposto ‘La contemplazione di Dio nel Sufismo’, credo opportuno proporre alcune riflessioni preliminari per meglio comprendere la mistica islamica o sufismo. Per un suo approfondimento ulteriore, rimando a quanto ho scritto altrove.  La mistica islamica, o il sufismo, e’ stata oggetto di discussioni antiche e moderne fra chi la riconosce parte della religione dell’Islam e chi la rifiuta. Ma non c’e’ dubbio ora che la mistica islamica e’ riconosciuta’ da parte dei piu’ grandi studiosi sia occidentali che musulmani come parte integrante dell’Islam, come una sua dimensione essenziale (secondo il titolo di un noto libro di Annemarie Schimmel). Basterebbe ricordare che il piu’ grande teologo dell’Islam sunnita, , come tale riconosciuto dalla maggior parte dei musulmani, Abû Hâmid al-Ghazâlî (m. 505/1111) e’ stato un grande esempio di pratica e di teoria del sufismo, tanto che nella sua summa ha messo il sufismo alla sommita’ della vita spirituale dell’Islam. Del resto si puo’ facilmente notare che il rifiuto del sufismo e’ avvenuto per lo piu’ ed avviene tuttora su basi estrinseche ad esso, cioe’ per motivi ideologico-politici.  Con questo non si nega che il sufismo, come del resto tutte le altre scienze islamiche, possa avere subito, e di fatto ha subito l’influsso di correnti spirituali extra-islamiche. Questo tuttavia non mette in forse la sua originale sintesi fra la fede islamica e i vari influssi extra-islamici. Come pure non si nega che fra il sufismo e l’Islam giuridico, rappresentato dai dottori della legge islamica (ulema) ci siano stati e continuano ad esserci conflitti, molte volte anche violenti, fino al vero martirio (vedi la vicenda di al-Hallâj, 309/922). Cio’ nonostante, oltre al fatto che conflitti simili si trovano in tutte le religioni, nessuno puo’ dire che la religione dei giuristi, o meglio la loro interpretazione di essa, sia la sola vera che deve essere accettata, e quella dei mistici no. Tanto piu’ che nell’Islam sunnita non esiste un chiara autorita’ in materia e il tutto viene deciso per un certo consenso comune non sempre facile a definire. I sufi comunque da parte loro hanno sempre avuto chiara coscienza di essere musulmani, anzi di essere quelli che hanno cercato di realizzare la vera realta’ della religione, come vedremo.


1. Problematica dell’idea di contemplazione di Dio in Islam.

1-1. Il vocabolario sufi della contemplazione.

Contemplare qualcosa significa vedere tale cosa, anzi vederla con intensita’ e costanza. Questo puo’ avvenire sia a livello puramente fisico che interiore. Quest’ultimo senso ha preso indubbiamente il sopravvento nell’uso del termine. Anche la lingua prima dell’Islam, cioe’ l’arabo, ha sviluppato un vocabolario simile per descrivere tale atto di visione interiore di cui parlano i sufi. Il termine piu’ vicino al nostro contemplare e’ mushâda (shuhûd e altri derivati), termine che indica uno sguardo prolungato su di un oggetto. Ma anche altri termini derivati da altre radici, come ru’ya, mu’âyana, connessi col il termine ‘ayn (occhio), come pure i termini connessi con nazar (sguardo). Da notare che alcuni derivativi della radice di mushâda hanno anche il senso di testimoniare , testimone (shahâda, shahîd…), cosi’ come il greco martyr (martire).  Questi termini applicati a Dio indicherebbero che Dio e’ ‘oggetto di contemplazione’, di visione da parte dell’essere umano. Ma puo’ Dio essere oggetto di visione secondo il pensiero islamico il quale volentieri sottolinea piuttosto il suo aspetto trascendente, imperscrutabile? Questa e’ una questione di non facile soluzione. Intendo delinearne alcuni tratti fondamentali.

1-2. La questione della visione di Dio in Islam.

Occorre vedere prima di tutto se nell’Islam e’ ammessa un ‘visione di Dio’ e a che condizioni. Tale questione e’ stata molto controversa (questio vexata) nella tradizione del pensiero religioso islamico

a. Nelle fonti islamiche: il Corano e la tradizione del Profeta dell’Islam, Muhammad.

Il testo coranico, com’e’ noto, sottolinea fortemente la trascendenza di Dio, che e’ sempre al di la’ di ogni presa umana. Contro ogni forma id antropomorfismo il Corano mette in primo piano il mistero assoluto di Dio. Dio e’ il Mistero (ghayb) assoluto: “Dio solo conosce il Mistero (ghayb), e a nessuno Egli manifesta il suo Mistero” (C 72, 26). Dio e’ quindi al di la’ di ogni presa umana: “Gli suardi non lo percepiscono, ma Egli percepisce gli sguardi, Lui e’ il Sottile (Onnipervasivo) e l’Informato” (C 6, 103). A Mose’ che chiede di vederlo Dio risponde drasticamente: ‘Non mi vedrai’ (lan tarânî) (C 7, 143). Tali affermazioni sembrano negare in modo assoluto la possibilita’ della visione di Dio in Islam. D’altra parte in un unico versetto coranico si afferma una specie di visione di Dio nel giorno della resurrezione: “In quel giorno ci saranno volti lieti, guardanti verso il loro Signore” (C 75, 23). Che significa? Tale versetto ha aperto la porta ad infinite discussioni in materia. La tradizione del Profeta dell’Islam, Muhammad, sembra offrire piu’ spunti per una possibilita’ della visione di Dio. Nei racconti del suo viaggio notturno (isrâ’) e della sua ascensione (mi’râj) al cielo si ammette, secondo la maggior parte delle versioni, che egli e’ giunto alla visione diretta di Dio; ma altre versione la negano. Un famoso hadith afferma che noi vedremo Dio come in una notte chiare vediamo la ‘luna piena’. Quindi sulla base di questi testi una certa visione di Dio sarebbe possibile.

b. Nella tradizione teologica sunnita.

Di fronte a dati cosi’ labili e contradittori, i teologi musulmani hanno discusso a lungo sulla possibilita’ e le modalita’ della visione, concludendo a posizioni divergenti. La teologia islamica classica (kalâm) ha strutturato il trattato su Dio secondo tre livelli o piani di considerazioni. Muhammad al Abduh (m. 1905), uno dei piu’ importanti teologi riformatori moderni, nel suo Trattato sul tawhîd (Risâla fî l-tawhîd), nel capitolo intitolato appunto l’Unita’ (al-wahda) riassume la dottrina classica di Dio in Islam. L’unita’ di Dio puo’ essere considerata secondo tre livelli fondamentali, e cioe’:

a- l’Essenza Divina (al-dhât): a questo livello Dio e’ essenzialmente Uno, con l’esclusione di ogni forma di composizione (tarkîb).

b- gli attributi o le qualita’ divine (al-sifât): a questo livello ogni somiglianza (tavb¥h) fra Dio e le creature deve essere esclusa. Dio e’ assolutamente trascendente e nessuna somiglianza puo’ esistere fra Lui e gli altri esseri, come dice il testo coranico “Nulla e’ simile a Lui” (laysa ka-mithli-hi shay’, Cor 42, 11).

c- il livello dell’esistenza e delle operazioni Divine (al-wujûd wa-l-af’âl); a questo livello Dio non ha eguale (kuf’), ne’ associato (sharîk), ne’ oppositore (didd). Dio (Allâh) e’ unico (farîd) nella sua esistenza e nelle sue operazioni, percio’ Egli e’ qualificato con la qualita’ di unicita’ incomparabile (tafarrud or fardâniyya).

Attorno a tali concetti si e’ sviluppata in Islam una profonda ed accesa controversia, che non sembra abbia trovato una soluzione finale. I Mo’taziliti del II-III/VIII-IX per salvare la trascendenza di Dio negarono ogni distinzione fra Essenza ed attributi in Dio, nel senso che tali atttributi sono nomi umani per indicare l’unica realta’ trascendente di Dio, la sua essenza. Al contrario, per preservare il testo coranico da ogni interpretazione troppo razionalista, i sunniti sostengono che i testi coranici riguardanti le qualita’ divine vanno accettati cosi’ come suonano senza chiedere troppi ‘perche’’ (bi-lâ kayfa). Quindi le qualita’ divine sono reali, esistono in lui in un modo che non conosciamo. Gli ash’ariti, la corrente mediana, ammette che Dio puo’ essere contemplato a partire dalle sue azioni-effetti, per giungere ad una certa visione-contemplazione della sua Unita’ assoluta (wahda), la sua qualita’ fondamentale. Pero’ Dio non puo’ essere visto nella sua essenza, questa rimane per sempre avvolta nel mistero assoluto ed inviolabile della sua Divinita’. In conclusione, appare chiaro che la questione dell’Unita’ divina (wahda) e’ fondamentale nella fede e nel pensiero islamico, e quindi anche nel sufismo, che si e’ sviluppato all’interno di tali problematiche teologiche. Il tawhîd, che indica appunto la professione e la coscienza della Unita’ divina (wahda), e’ pure il centro dell’esperienza e della riflessione, e quindi anche della contemplazione (mushâhada) dei sufi. Questi pero’, basandosi sulla loro esperienza interiore, articoleranno in modo molto piu’ dinamico le rigide posizioni dei teologi.

1-3. La centralita’ di Dio nella vita e fede dei musulmani.

Oltre l’aspetto delle discussioni teologiche, occorre considerare pure l’aspetto pratico e vissuto del tawhîd, cioe’ della professione e coscienza della Unita’ divina (wahda). Infatti, Dio per l’Islam, come dovrebbe essere per tutte le religioni, non e’ prima di tutto un oggetto di discussioni teoriche fra teologi, ma e’ prima di tutto una realta’ vissuta nel concreto della vita del credente. Il nome di Dio infatti ha una centralita’ assoluta nella vita e nel parlare di ogni musulmano: Dio e’ la realta’ attorno cui ruota tutta la vita del credente musulmano. Tale fatto e’ ricordato in mille espressioni che scandiscono ogni evento della sua vita. Dai saluti quotidiani ai momenti piu’ drammatici di essa come la nascita e la morte, sulla bocca del musulmano ricorrono spontanee espressioni come al-hamdu li-llâh – Lode a Dio!, in shâ’ Allâh – se Dio vuole! ecc. Dall’arabo tali espressioni sono state riprese nelle lingue degli altri popoli musulmani, come i persiani, turchi, ecc.  Questa esperienza quotidiana trova conferma e amplificazione nella storia dell’Islam, storia ricca e complessa. Lungo tutta la sua storia l’Islam mostra che il suo estendersi attraverso lo spazio e il tempo ha sempre trovato il suo centro e la sua forza portante nel messaggio di cui si sente il latore privilegiato: il monoteismo assoluto (tawhîd). Questo e’ il fattore che unifica in certo senso tutta la storia dell’Islam, al di sopra e al di la’ di altri fattori che hanno pure contribuito alla sua crescita ed espansione. Il grande orientalista, G. E. von Grünebaum, afferma che a differenza di altri popoli (vedi le invasioni germaniche nell’Impero Romano), gli arabi musulmani quando uscirono dalla penisola arabica alla conquista del mondo avevano gia’ una chiara visione della loro missione nel mondo: “L’Islam aveva fatto degli Arabi convertiti il centro di una visione universale del mondo, e di conseguenza, quando il tempo venne, il centro di uno stato universale… l’Arabo musulmano aveva il suo centro di gravita’ in se stesso. Il suo era un popolo eletto, e il dominio appartiene agli eletti”. E specificando meglio, egli afferma che questa visione universale del mondo era centrata proprio nel messaggio religioso del ‘piu’ assoluto monoteismo’ (tawhîd) di cui i musulmani si sentono i latori privilegiati per il mondo intero. E’ a questo livello credo che si debba cerca la forza storica dell’Islam, forza che non si e’ smussata nemmeno nel nostro tempo.  Questa e’ la dinamica che ha mosso pure tutta la storia della mistica islamica, il sufismo: cioè la tensione verso Dio, tensione che va dall’esterno verso l’interno, e di lì si trascende in Dio. E uno studio attento della mistica islamica rivela che il suo fondamento primo o il suo punto di partenza deve essere ricercato prima di tutto proprio nella stessa professione di base della fede islamica, cioè la testimonianza e la coscienza dell’assoluta Unità ed Unicità di Dio (tawhîd): ‘Non c’è dio se non il Dio (Allâh)’. E’ questa formula continuamente ripetuta che plasma la vita, la coscienza e il pensiero del musulmano. E’ questa anche la sorgente dell’esperienza dei mistici dell’Islam, i sufi. Questi infatti non furono prima di tutto uomini di pensiero ma di azione pratica. Un detto, attribuito a Sahl al-Tustarî (m. 283/896), ben esprime tale centralita’ della realta’ di Dio nella vita dei musulmani, centralita’ che i sufi cercheranno di realizzare al suo massimo grado:

“Dio è la direzione (qibla) dell’intenzione (niyya), l’intenzione è la direzione del cuore (qalb), il cuore è la direzione del corpo (jism), il corpo è la direzione delle membra,le membra sono la direzione dell’universo creato (kawn)”.

Anche l’Islam, nel corso della sua storia, ha subito certamente molte influenze da parte delle varie culture con cui è venuto in contatto: prima di tutto il Cristianesimo e l’Ebraismo, ma poi anche le altre culture in cui esso è penetrato sia in modo bellicoso che pacifico. Ma occorre ugualmente sottolineare che, nonostante la varietà delle sue vicende epocali, l’Islam, e il sufismo in esso, ha conservato senza dubbio la sua dinamica fondamentale, cioe’ la sua tensione verso l’unità di Dio, accostata mediante la sua formulazione coranica. A mio parere è proprio tale dinamica che alla fine si rivela essere il centro unificante di tutto il movimento religioso dell’Islam.  Il sufismo quindi si colloca storicamente all’interno di tale dinamica propria della fede islamica, ed e’ solo in tale luce che puo’ essere adeguatamente compreso. Anzi esso e’ stato in moltissimi casi la forza interiore che ha animato e fortificato mediante la sua esperienza concreta la comunita’ islamica nei periodi piu’ critici della sua storia.


2. Le problematiche del tawhîd nell’Islam.

3-1. Il Dio-Uno, o il puro monoteismo (tawhîd).

Per entrare meglio nella problematica della contemplazione sufi occorre articolare un po’ di piu’ la professione di fede dell’Islam, che come abbiamo visto e’ il punto di partenza, sia storico che esperienziale, del sufismo. Di possiamo quindi chiedere: Qual’e’ il Dio in cui l’Islam crede e di cui si sente il testimone e il messaggero per tutti i popoli?  La risposta a tale domanda, come abbiamo accennato, e’ data dalla professione di fede (shahâda) che ogni musulmano e’ tenuto a proclamare continuamente, infinite volte, nel corso della sua esistenza: “Non c’e’ dio se non Allâh” (Lâ ilâha illâ Allâh). Questa e’ la prima parte della professione di fede (shahâda), che costituisce uno dei cinque pilastri dell’Islam. Ad essa segue la seconda parte che riguarda la missione profetica di Muhammad (Maometto) “…e Muhammad e’ il suo inviato”.  Il nome arabo di Dio, Allâh, come si sa’, e’ la forma contratta di al-ilâh (il Dio), nome derivato da una comune radice semitica: El, Il, Ilh (cf. l’ebraico El, Elohîm). Il nome Allâh era conosciuto ed usato dagli Arabi prima di Muhammad per designare il dio supremo del loro pantheon, ma in associazione ad altri dei e deesse contro cui si scagliano le polemiche del Corano.  Nella Bibbia Dio e’ invocato anche col nome Yahweh, nome che sottolinea la presenza e la vicinanza di Dio al suo popolo. Questo nome puo’ essere fatto corrispondere in certo modo al termine coranico Rabb (Signore, cf. l’ebraico Adonai), nome che e’ sempre usato nel testo coranico in stato costrutto come Rabb-î, Rabbu-ka, Rabbu-kom ecc. (il mio, il tuo, il vostro Signore, ecc…).  Nella professione del puro monoteismo islamico ci sono due riferimenti importanti da sottolineare che ne rivelano le dimensioni storiche e meta-storiche.

a. Il puro monoteismo (tawhîd) nella storia: Abramo, il padre dei monoteisti.

Muhammad nel proclamare l’assoluto monoteismo aveva chiara coscienza di ritornare alla purezza originale di fede del primo vero monoteista, Abramo. Abramo infatti, afferma il Corano, “…non era ne’ giudeo ne’ cristiano ma era ‘un puro monoteista (hanîf)’ e un sottomesso (a Dio, muslim), e non era fra gli associatori” (Corano 3, 67). La figura di Abramo e’ fondamentale per la coscienza profetica di Muhammad, ed essa e’ centrale nel testo coranico ricordato in circa 245 versetti. Abramo e’ presentato come il modello di tutti i veri credenti monoteisti; ad esempio, tutto il pellegrinaggio alla Mecca, altro pilastro dell’Islam, e’ centrato sul ricordo di Abramo che, secondo la tradizione coranica, avrebbe ricostruito la Ka’ba, il primo tempio del puro monoteismo(tawhîd). Muhammad ha mostrato chiaramente l’intento di ritornare al puro, originale monoteismo di Abramo a monte delle sue varie corruzioni, non solo quelle del paganesimo idolatrico, ma anche quelle dei ‘figli deviati’ di Abramo, cioe’ degli ebrei e dei cristiani. Questi infatti , secondo il testo coranico, avrebbero corrotto in vari modi la pura fede monoteista di Abramo. L’Islam quindi intende essere un ritorno alla prima radice della fede monoteista che e’ abramitica.

b. Il puro monoteismo (tawhîd) nella sua origine trascendente: il patto eterno (mîthâq) con Dio.

Ma nel testo coranico c’e’ un altro riferimento importante per il puro monoteismo islamico (tawhîd). In un unico passo viene affermato che Dio prima della creazione del mondo fece comparire davanti a Se’ tutte le anime umane, le fece testimoni della sua unicita’ come il loro unico Signore nel famoso colloquio riportato dal testo coranico: “Non sono forse Io il vostro Signore?”; e quelli risposero “Si’, certamente!” (Corano 7, 172). Al giorno della resurrezione infatti sara’ chiesto conto agli uomini di tale fede originale che costituirebbe, nella visione islamica, il deposito originario (amâna) affidato da Dio all’uomo ricordato in Corano 33, 72.  Questo passo sul patto originario, in se’ alquanto misterioso, ha avuto poco spazio nella riflessione della teologia speculativa dell’Islam, mentre ne ha avuto molto nella speculazione mistica dei sufi. Per i sufi tale passo testimonia che l’essere umano in quanto tale porta nelle profondita’ della sua coscienza la testimonianza del puro monoteismo (tawhîd) ricevuta in tale visione (mushâhada) originaria nella pre-eternita’. In altre parole, la natura umana originale (la fitra, altro importante concetto nella teologia islamica) e’ configurata da sempre e per sempre ‘monoteisticamente’. Solo per circostanze storiche varie l’essere umano ha deviato da tale puro monoteismo di origine divina perdendosi dietro ideologie di fattura umana. In tale luce si puo’ capire il senso profondo di un famoso hadith che afferma: “Ogni uomo nasce secondo la sua natura originale (fitra, che e’ quella di essere musulmano); sono poi i suoi genitori che lo fanno un ebreo o un cristiano”.  L’Islam quindi, con la sua testimonianza e la sua proclamazione del puro monoteismo (tawhîd), intende non solo restaurare la pura fede di Abramo, il primo dei monoteisti, ma anche rivivificare e portare a piena coscienza il patto primordiale che Dio stesso siglo’ con tutti gli esseri umani in tale visione pre-eterna, e cioe’ la testimonianza del monoteismo che Dio stesso ha impresso nel profondo di ogni essere umano fin dall’eternita’.  L’affermazione monoteista islamica si articola poi in due momenti fondamentali: il momento delle negazione purificatrice o apofatico (nafî – tanzîh) e il momento dell’affermazione o catafatico (ithbât- tashbîh).


3-2. Il Dio-Uno, o il momento apofatico della negazione purificatrice o (nafî – tanzîh).

Per comprendere meglio il senso del monoteismo islamico occorre leggerlo nella dinamica della sua formulazione linguistica che va dalla negazione all’affermazione:

- dalla negazione: ‘Non c’e’ dio. (Lâ ilâha…)”,

- … all’affermazione: “… se non Allâh (…illâ Allâh)”.

Queste formulazioni negative, con altre equivalenti come ‘se non Lui… , se non Tu…, se non Io…’, scandiscono frequentemente il testo coranico conferendogli una suo tipico carattere monoteista, che lo differenzia pure rispetto alla Bibbia. Importante per le discussioni teologiche dei secoli seguenti e’ la formula: “Nulla e’ simile a Lui… (laysa ka-mithli-hi shay’)” (C 42, 11), ed molte altre coniate secondo la forma “Dio non e’… (laysa …)”. Da tali formulazioni appare chiaro che il puro monoteismo o tawhîd nel pensiero islamico puo’ essere avvicinato solo mediante una radicale negazione purificatrice (tanzîh). Il nostro parlare di Dio deve prima di tutto essere purificato mediante la negazione di ogni somiglianza (tashbîh) pensabile fra Lui e le sue creature: Dio e’ il completamente Altro, diverso da tutto cio’ che e’ creato. Percio’ per prima cosa occorre togliere dal nostro linguaggio e dai nostri concetti ogni pretesa di comprendere e di descrivere in qualche modo Dio. Occorre una radicale purificazione linguistica che deve diventare anche una radicale purificazione esistenziale. L’uomo infatti corre sempre il pericolo di forgiarsi un Dio a sua immagine e somiglianza, divinizzando una creatura o un’immagine di Dio forgiata da lui stesso e cadendo cosi’ nell’idolatria. L’Islam contro ogni simile tentativo brandisce la spada fiammeggiante della negazione piu’ radicale di ogni somiglianza fra Dio e le creature: “Dio non e’… (laysa …)”, cosi’ incomincia il suo primo parlare di Dio. In tale approccio negativo alla trascendenza di Dio si possono facilmente riconoscere molti paralleli nel testo biblico e nella tradizione teologica cristiana.  I sufi leggeranno volentieri nell’ordine che Dio da’ a Mose’ di togliersi le scarpe prima di avvicinarsi al roveto ardente da cui Egli lo chiama il simbolo di tale negazione assoluta e purificatrice. L’uomo infatti deve purificarsi da tutto cio’ che non e’ Dio per avvicinarsi esistenzialmente (e non solo verbalmente come, secondo i sufi, fanno la maggior parte dei musulmani) a Dio. Egli fa questo mediante uno stato di annientamento assoluto (fanâ’), che significa annientare le proprie qualita’ creaturali nel fuoco dell’unita’ divina: solo allora il sufi potra’ avvicinarsi alla fiamma eterna dell’unita’ divina e il sole dell’unita’ divina potra’ rispecchiarsi nel suo cuore illuminandolo di luci nuove …. ma in tale stato avvengono cose che non e’ lecito ai profani manifestarle. Questo e’ il segreto dei sufi (sirr) che ha attirato molte volte la condanna, fino all’eliminazine fisica, da parte dei giuristi-teologi musulmani (ulema – ‘ulamâ’). In ogni caso molti gesti di purificazione rituale, comuni nelle pratiche di devozione islamiche, vengono interpretati e vissuti dai sufi secondo un profondo senso simbolico, per indicare tale radicale purificazione esistenziale, condizione unica per avvicinarsi alla soglia della trascendente unita’ divina.

3-3. Il Dio-Molteplice, o il momento catafatico dell’affermazione (ithbât- tashbîh).

Il monoteismo islamico non si ferma alla negazione. Non e’ come il Buddhismo che punta alla negazione assoluta come al momento di liberazione che introduce nell’Altro assoluto (nirvâna) (comunque questo concetto possa essere inteso, naturalmente).  L’Islam, simile in questo alle due altre religioni abramitiche, l’Ebraismo e il Cristianesimo, ha un ricco linguaggio positivo su Dio. In esso quindi il momento apofatico o della negazione: “Dio non e’…”, e’ seguito dal momento catafatico o dell’affermazione: “Dio e’…”. E lungo e’ l’elenco delle qualita’ positive che vengono attribuite a Dio dal testo coranico e dalla tradizione islamica. L’affermazione positiva su Dio comprende due aspetti: l’affermazione della sua unita’ assoluta insieme e l’affermazione della molteplicita’ dei suoi attributi

a. L’unita’ assoluta di Dio, oggetto della contemplazione-meditazione dei sufi.

La prima e fondamentale qualita’ che viene attribuita a Dio e’ l’unita’ (wahda): “Dio e’ uno, il vostro Signore e’ uno (wâhid)”, ripete continuamente il Corano. In arabo ci sono due termini per dire uno: wâhid e ahad.  Il primo termine wâhid indicherebbe, secondo una comune spiegazione teologica, l’unita’ in rapporto ad una molteplicita’ esteriore. Applicato a Dio questo termine significa che non ci sono molti dei: Dio e’ uno, Egli non ha ne’ associati (sharîk) ne’ pari (nidd) ne’ oppositori (didd). Coloro infatti che attribuiscono a Dio degli associati sono i ‘politeisti’ (in arabo mushrikûn, lett. gli ‘associatori’), e il piu’ grande peccato che l’uomo puo’ commettere e’ appunto quello di politeismo (shirk, lett. associazionismo, cioe’ l’atto di associare altri dei a Dio); questo e’ l’unico peccato che, secondo l’Islam, Dio non puo’ perdonare.  L’altro termine ahad, per se’ in arabo e’ un sinonimo di wâhid, ma nel linguaggio teologico e’ stato comunemente usato per indicare l’unita’ interna di Dio: Dio non e’ composto di parti. Questo termine e’ infatti ricorre nel Corano nel capitolo (sûra) 112, detto appunto ‘La sûra della fede sincera (ikhlâs)’, in concomitanza col termine samad: “Di’: Egli e’ il Dio, l’Uno (ahad); il Dio permanente-immutabile (samad); Egli non genero’ ne’ fu generato; nessuno e’ pari a Lui” (Cor 112). L’aggettivo samad denota la permanenza, l’immutabilita’, la saldezza di una cosa che, di conseguenza, diviene il saldo sostegno per altri. Con tale termine viene esclusa da Dio ogni forma di molteplicita’ e cambiamento interni. Attorno a questo concetto si accenderanno, come vedremo, le dispute dei teologi sul modo di spiegare l’unita’ di Dio in rapporto alla molteplicita’ delle qualita’ ed delle azioni che gli sono attribuite.
L’affermazione dell’unita’ di Dio (tawhîd) costituisce quindi il centro della fede islamica, in qualche modo ‘la sua passione’. In tale contesto occorre sottolineare l’aspetto ‘rivoluzionario’ che ha il tawhîd coranico, in continuita’ con quello biblico. Esso significa infatti spodestare qualsiasi creatura, cose o esseri umani, dalla pretesa di mettersi al posto di Dio: esso costituisce quindi una radicale contestazione di ogni paganesimo antico e moderno, in cui degli esseri creati, umani e no, venivano e vengono tuttora messi al posto di Dio. E’ facile constatare che quando la coscienza di tale puro tawhîd diminuisce, il paganesimo, in tutte le sue forme anche le piu’ criptiche, ritorna in vigore.  Da questo punto di vista uno puo’ e deve riconoscere che la professione del tawhîd fatta dall’Islam e’ una continuazione del messaggio biblico, radicato nella fede abramitica che proclama l’assoluta centralita’ di Dio nell’essere e nell’agire. Viva espressione di tale fede abramitica e’ quanto proclama Paolo ai pagani Ateniesi: “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti 17, 28). Per tale motivo il sufi cerchera’ in tutte le creature, le opere di Dio, i segni che ne proclamano l’unita’ e la signoria assolute. In tutte le creature ci sono chiari segni dell’unita’ divina, per chi a occhi per vedere.

b. I 99 ‘bei nomi’ (al-asmâ’ al-husnâ) nella contemplazione-meditazione sufi.

Accanto alla proclamazione dell’unita’ assoluta di Dio, la fede islamica non cessa di proclamare gli infiniti attributi positivi di Dio. Molti sono i nomi e le immagini di carattere antropomorfico con cui il Dio-Uno e’ qualificato e descritto nel testo coranico: si parla del ‘volto di Dio’, del ‘trono di Dio’, della ‘mano di Dio’, ecc. Tutte queste qualita’ sono state riassunte dalla tradizione islamica nei famosi ’99 bei nomi’ (al-asmâ’ al-husnâ). La recitazione di questi ’99 bei nomi’ e’ diventata una pratica di devozione molto popolare fra i musulmani, soprattutto fra i sufi. Essi si aiutano nel conto dei nomi di Dio con una corona di grani detta subha (nella lingua corrente sibha) che significa ‘l’atto di lodare Dio’, e non ‘rosario’ come e’ tradotto talvolta impropriamente.  I 99 ‘bei nomi’ costituiscono per il credente musulmano una specie di ‘somma teologica popolare’ della sua fede, e la loro meditazione aiuta i credenti ad approfondire la loro vita spirituale. Per i sufi inoltre ogni nome divino e’ carico di molti significati interiori che possono essere trasmessi solo mediante una speciale iniziazione durante il noviziato sufi.  La speculazione teologica islamica ha cercato di trovare un ordine ai nomi divini riportati in tali liste che ne giustifichi l’uso. Alcune delle divisioni piu’ comuni sono le seguenti:

i. Una tradizione teologica, in particolare la sunnita ash’arita, fissa dopo il nome Uno (wâhid) sette nomi detti ‘capitali’, di cui tutti gli altri sarebbero solo dei derivati. Dio e’ essenzialmente Colui che sa (‘âlim), che puo’ (qâdir), che e’ vivo (hayy), che vuole (murîd), che parla (mutakallim), che ode (samî’), che vede (basîr). Questi sette nomi ‘capitali’ riguarderebbero Dio in se stesso, in qualche modo la sua vita intima, ed essi sarebbero quindi dei nomi ‘assoluti’. Mentre gli altri nomi come il Creatore, il Provvidente, il Soccorritore ecc…, riguarderebbero Dio in rapporto alle creature, e quindi sarebbero nomi ‘relativi’.

ii. Un’altra tradizione, comune soprattutto tra i sufi, intende distinguere fra i nomi divini:

- nomi che mettono in risalto la potenza e maesta’ (jalâl) di Dio: Dio e’ il Possente, il Dominatore, l’Invincibile, Colui che fa vivere e morire, Colui che abbassa ed eleva ecc. Questi nomi metterebbero in risalto l’aspetto maschile di Dio.

- nomi che mettono in risalto il suo aspetto di misericordia e di bellezza (jamâl): Dio e’ il Misericodioso, il Perdonatore, il Gentile, il Paziente, ecc. Questi nomi metterebbero in risalto l’aspetto femminile di Dio. La perfezione dell’essere umano consisterebbe nell’assimilazione dei due aspetti della divinita’: quello maschile e quello femminile. Anche a tal riguardo la speculazione sufi ha sviluppato una sua mistica che non puo’ essere sviluppata qui.

In conclusione, l’immagine coranica di Dio attraverso i suoi attributi puo’ essere chiaramente percepita nel seguente testo in cui vengono ricordati alcuni dei principali attribuiti di Dio, cioe’ i suoi ‘nomi piu’ belli’ (Corano 59, 1. 22-24):

Tutto cio’ che vi e’ nei cieli e sulla terra celebra le lodi di Dio, Egli e’ il potente e il sapiente * Egli e’ Dio – non c’e’ divinita’ se non Lui - Egli conosce l’invisibile e il visibile: Egli e’ il clemente e il misericordioso * Egli e’ Dio – non c’e’ divinita’ che Lui – il Re, il Santo, la Pace, il Fedele, il Vigilante, il Possente, il Forte, il Grande * Dio sia esaltato sopra tutto cio’ che gli associano * Egli e’ Dio, il Creatore. il Plasmatore, il Formatore: a Lui spettano i nomi piu’ belli. Lo glorifica quanto e’ nei cieli e sulla terra: Egli e’ il Possente, il Sapiente”.

Questo come pure moltissimi altri testi coranici esortano il credente alla riflessione, meditazione e contemplazione delle qualita’ divine, ad immergersi in esse fino a venire trasformato da esse, o come dice un famoso hadith, divenuto un dei principi fondamentali della vita mistica islamica: “Rivestitevi delle qualita’ di Dio”.

3. Il tawhîd sufi.

3-1. La struttura del cammino sufi.

Da quanto esposto, appare chiaro che il cammino di ogni credente musulmano, ed evidentemente in particolare di ogni sufi, e’ quello di entrare sempre piu’ profondamente in quello che possiamo ormai chiamare il mistero dell’unita’ divina, unita’ che non si riduce ad essere una semplice formula aritmetica, anche se molte volte e’ cosi’ intesa da credenti superficiali. Occorre quindi ora mettere in luce alcuni degli aspetti fondamentali del tawhîd sufi. In tal modo ci mettiamo in contatto con cio’ che puo’ essere considerato il cuore dell’esperienza sufi: l’esperienza del tawhîd. Tale esperienza va letta in primo luogo all’interno della struttura del cammino sufi. Il cammino mistico nell’Islam si svolge attraverso tre stadi o tappe fondamentali, indicati dai sufi stessi con i termini seguenti.

a.- La legge (sharî‘a): tale termine designa la ‘strada’ (questo è il senso primo del termine arabo) stabilita e rivelata da Dio agli uomini, e che nessuno quindi può cambiare. La legge (sharî’a) è riassunta nei cinque pilastri dell’Islam che ogni buon musulmano deve osservare, e il sufi in modo particolare, scrupulosamente. Questo è il punto di partenza per ogni cammino sufi: nessuno può pretendere di essere sufi se non osserva la legge divina (sharî’a) rivelata da Dio.

b.- La via (tarîqa): tale termine designa la ‘via’ (questo è il senso primo del termine arabo), cioè un metodo di vita che il fedele segue per vivere la legge divina secondo le intenzioni più profonde intese da Dio. In questa tappa prevale lo sforzo ascetico attraverso cui l’aspirante sufi cerca di purificare il proprio cuore per renderlo disponibile all’azione di Dio. Questo è uno stadio intermedio, ma necessario per giungere al fine del cammino sufi.

c.- La Verità-Realtà (haqîqa): tale termine designa la tappa finale del cammino; essa consiste nella ‘scoperta’ o ‘rivelazione’ (fath) di Dio, suprema realtà e termine ultimo di tutti i simboli religiosi. Il sufi quindi è chiamato a passare dall’esteriorità delle forme all’esperienza personale e viva, al ‘gusto’ (dhawq) della Realtà divina, fonte della vera conoscenza sufi. L’incontro con la Realta’ divina comporta necessariamente una profonda trasformazione della persona del sufi. La storia mostra che molte volte tale trasformazione comporta esperienze ed espressioni che sembrano essere in contraddizione con la prima tappa, quella della legge. Questo conflitto, in cui la bianca rosa dell’esperienza mistica dei sufi è stata sovente imporporata con il rosso del loro sangue, secondo una diffusa immagine-simbolo della loro esperienza, sembra un dato ineliminabile nel mistero dell’incontro di due libertà: quella dell’uomo e quella di Dio, l’Assoluto, libertà che sempre sorprende e scandalizza coloro che sono legati solo all’esteriorità della legge o dei simboli religiosi.

Ci sono anche altre classificazioni del cammino sufi, ma la presente ha il vantaggio di metterene in risalto la dinamica interna, evidenziandone il movimento di interiorizzazione della legge religiosa, interiorizzazione che si trascende infine nell’incontro-unione con la Realtà-Verità Assoluta (al-haqq), Dio stesso. Questa divisione del cammino sufi in tre stadi o tappe viene fatta molte volte corrispondere ai tre livelli fondamentali dell’essere umano, che, secondo una comune antropologia sufi, sono: l’anima (nafs) (sede dei sentimenti e qualita’ sensibili), cuore (qalb) (sede dei pensieri e delle qualita’ spirituali), ed infine lo spirito (rûh) o l’intimo segreto (sirr) (il luogo delle manifestazioni o rivelazioni divine, la’ dove la persona umana si apre all’Assoluto, Dio).  Anche per il sufismo rimane assodato che la Realtà-Verità Assoluta (al-haqq), Dio, non può essere espressa in formule definite e chiare: essa sorpassa di gran lunga ‘quanto l’essere umano può pensare, immaginare, sperare’. L’incontro con Dio comporta necessariamente un cambiamento radicale della persona umana al punto che i suoi limiti creati sono in qualche modo infranti, dato che il sufi avanza in una realtà illimitata, in un mare di cui non vede le sponde. Quante volte l’immagine del ‘naufragare in questo mare’ ritorna nelle espressioni sufi! C’è chi si limita a parlare di una vicinanza trasformante (qurb) di Dio (al-Ghazâlî), o di un annientarsi (fanâ’) in Lui (al-Junayd), ma c’è anche chi giunge a parlare di una inabitazione (hulûl) di Dio nel cuore del suo servo (al-Hallâj) o di una unione reale (wahda-ittihâd) con Lui (Ibn ‘Arabî). Simili espressioni hanno molte volte scandalizzato i rigidi assertori della pura lettera della legge, i dottori della legge (ulema), ma per i sufi tali espressioni sono solo dei balbettii per esprimere una realtà che sorpassa ogni espressione umana. La distanza fra esperienza interiore ed espressione esteriore è stata vissuta profondamente ed anche drammaticamente dai sufi come estasi (ex-stasis), cioe’ come un uscire dai propri limiti, ma anche come diastasi (dia-stasis) mistica, cioe’ come esperienza della distanza infinita tra il relativo e l’Assoluto. Al-Niffarî (m. 366/976), uno dei piu’ profondi pensatori sufi del IV/X secolo, ha bene espresso tale asintotica tensione fra esperienza o visione interiore e la sua espressione o lettera esteriore, in un famoso detto: “Quanto più si allarga la visione (ru’ya), tanto più si restringe l’espressione (ibâra)” .

3-2. Il tawhîd come centro dell’esperienza sufi.

E’ stato indubbiamente uno dei piu’ grandi contributi di L. Massignon (1883-1962) l’aver difeso l’origine coranica del sufismo contro molte tendenze che lo volevano un movimento puramente importato in Islam da fonti esterne, cristiane, ebraiche, gnostiche, ecc. Le ricerche successive hanno sempre piu’ confermato tale assunto. Inoltre esse hanno sempre piu’ sottolineato che proprio la professione della fede monoteista coranica (tawhid) e’ alla base dell’esperienza sufi.  Lo studioso fancese, Marijan Molé, afferma nel suo studio sul sufismo: “Una delle costanti dell’esperienza sufi sembra essere il sentimento che nulla ha esistenza reale al di fuori di Dio”.  Un altro studioso francese, p. Robert Caspar, afferma pure che: “E’ tale radicale teocentrismo il punto di partenza di ogni misticismo”. L’orientalista tedesco, Hans H. Schaeder, mette in chiaro che: “La mistica islamica e’ il tentativo di raggiungere la salvezza individuale attraverso il raggiungimento del vero tawhîd”.  Il tawhîd , base della fede islamica, deve essere considerato la sorgente prima della vita e dell’esperienza dei sufi. In particolare, l’uso dei pronomi ‘Egli – Tu – Io’ (huwa – anta – anå) nelle formule del tawhîd hanno un enorme potere catalizzante. Attraverso la loro incessante ripetizione l’ ‘io’ individuale del singolo sufi e’ progressivamente assorbito nell’ ‘Io’ divino, al punto che il sufi perde totalmente la propria auto-coscienza personale, entrando in uno stato di ebbrezza (sukr), estasi o trance. Tale processo di assorbimento appare visibile nella pratica individuale e comune dello dhikr (ricordo, ripetizione) del nome di Dio da parte dei sufi. Questa pratica, sostenuta normalmente da un forte ritmo musicale, raggiunge il suo culmine nella ripetizione del nome di Allåh, poi del pronome personale Lui (huwa) che finisce per divenire la ripetizione del soffio hâ… hâ… A questo punto il sufi e’ sempre piu’ assorbito dal ritmo e dal soffio che escono dal suo profondo, la sua auto-coscienza viene sempre piu’ annullata… fino a sparire nella maesta’ della Presenza Divina (hadra).  Il tawhîd coranico, sorgente prima e ispiratore principale dell’esperienza sufi, rappresenta pure l’asse fondamentale di sviluppo del vocabolario sufi in generale. Ad esempio, lo sviluppo del linguaggio dell’amore (hubb) nel sufismo non puo’ essere considerato una pura derivazione esegetica del linguaggio dell’amore nel Corano. Esso si e’ sviluppato’ piuttosto attraverso un’esperienza pratica ed in connessione con linguaggio dell’unita’ (tawhîd). In tal modo si puo’ rendere conto della caratteristica dell’amore sufi, che lo distingue da quello cristiano. Infatti, mentre quest’ultimo, seguendo il comandamento evangelico, unisce sempre l’amore per Dio con quello per il prossimo, l’amore sufi ha in primo luogo Dio come solo ed unico fine, mentre l’amore per il prossimo appare piuttosto come un corollario secondario.  Per tal motivo nell’interprtazione dei testi sufi occorre tener presenti due importanti fattori che hanno influito sulla foramzione del lor linguaggio.  Il primo fattore e’ l’esperienza che porta ad un gusto personale (dhawq) della realta’. I sufi (come del resto i mistici di altre tradizioni religiose) non sono ne’ puri ripetitori di testi sacri, come lo sono spesso i canonisti, ne’ degli astratti speculatori della realta’ mediante la pura ragione, come lo possono essere i filosofi. Il mistico invece scopre la realta’ attraverso la propria esperienza personale, ed e’ in tale scoperta che egli crea il suo proprio linguaggio, reinterpretando il linguaggio della sua tradizione religiosa. Paul Nwyia nel suo studio sul linguaggio dei sufi afferma infatti che fu attraverso il sufismo che in Islam fu creato ‘un vero linguaggio di esperienza’.  E l’altro fattore, sopra accennato, e’ quello delle influenze extra-islamiche che indubbiamente ci sono state. L’Islam ha sempre interagito su tutti i campi, teologico, filosofico, scientifico, artistico, con le varie culture con cui venne in contatto. Ed anche il campo del sufismo non ne fu esente. Influenze da parte del monachesimo cristiano orientale, della cabbala ebraica, delle varie correnti gnostiche, delle religioni iraniane, ecc. sono evidenti nel sufismo. In seguito, esso inter-reagira’ con le varie culture dell’Asia e dell’Africa. All’interno del sufismo si puo’ percepire una costante tensione tra la sua originalita’ islamica e le influenze ‘estranee’ che ne coloriranno l’esperienza.  In conclusione possiamo dire che il tawhîd, la professione e conscienza piena dell’Unita’ di Dio, e’ la fonte prima dell’esperienza della mistica islamica, e quindi il primo oggetto di cio’ che noi chiamiamo ‘contemplazione mistica’. Pero’ sara’ solo attraverso la lettura dei testi sufi che ci si puo’ rendere conto delle modalita’ di tale esperienza, dei suoi gradi, ma anche delle sure problematiche ed aporie.

5-1. Il tawhîd sufi e le sue tappe.

Prima di entrare direttamente nella lettura dei testi sufi, presento una griglia interpretativa che evidenzia quattro dimensioni o tappe che si possono ricavare da un percorso attraverso gli scritti dei sufi e che ci possono aiutare ad capire tali testi. Altri sono liberi di seguire altri schemi. Le tappe che qui presento appaiono chiaramente in ordine storico, cioe’ nello sviluppo storico dell’esperienza sufi. Per cui, ad esempio, nei primi due secoli dell’Islam non si trovano testi che si riferiscono alla terza o quarta tappa del tawhîd sufi. Mentre, evidentemente, in testi posteriori le quattro tappe possono essere mescolate insieme in un’unica esperienza complessa.
Il tawhîd sufi, basato sulla professione fondamentale della fede islamica (non c’e’ dio se non Allâh), viene approfondito ed articolato assoluto nei termini seguenti.

a. Dio, come l’unico adorato. Questa e’ la prima tappa, quella dell’ascesi sufi (zuhd), tipica dei primi due secoli dell’Islam. Ogni credente sincero, e’ chiamato ad orientare tutti i suoi atti di culto e di morale Allâh, l’unico vero Dio. Ma il sufi deve unire alla pratica esteriore la purezza interiore del cuore che mediante l’ascesi (zuhd) si stacca da ogni cosa che non sia Dio. Dio quindi e’ adorato esterioremente ed interioremente in modo assoluto.

b. Dio, come l’unico amato. Questa e’ la tappa dell’amore sufi (hubb) che appare nel secondo secolo dell’Islam e continuera’ ad approfondirsi nei secoli seguenti. Il sufi deve liberare il suo cuore da ogni amore che non sia Dio. Anzi tale amore implica che il sufi si stacchi anche da se stesso: l’amore esige l’annientamento (fanâ’) dell’amante nell’amato, tanto piu’ se l’amato e’ l’Assoluto, Dio stesso.

c. Dio, come l’unico agente. In questa tappa il sufi prende sempre piu’ coscienza che Dio, come Assoluto, e’ l’unico agente in ogni cosa. Il sufi deve annullare ogni suo agire autonomo per lasciarsi dominare dall’agire di Dio, l’unico vero agente che opera tutto in tutti. In questa tappa l’annientamento sufi(fanâ’) giunge al suo sommo, e il sufi sperimenta lo stato di permanenza (baqâ’) in Dio, ed infine di unione o forse immersione totale in Dio. Avendo rinunciato totalmente alle sue qualita’ il sufi viene ora rivestito delle qualita’ di Dio.

d. Dio, come l’unico esistente, l’unica Realta’. Questa e’ l’ultima tappa del cammino, ed anche la piu’ drammatica e discussa. Il sufi prende coscienza che il tutto non e’ che manifestazione di un’unica Realta’: quella di Dio. Dio solo puo’ essere qualificato di esistente e sussistente (qayyûm). Ormai il sufi ha perso di vista la propria esistenza individuale, non esiste piu’ in se’ ma in Dio solo. Ma in tale stato il sufi scopre di essere uno con tutta la realta’ esistente, trovando Dio in tutto e tutto in Dio.

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IL GRANDE PELLEGRINAGGIO: L’ESSENZA DEL SUFISMO

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essenza_via_sufiPer la tradizione Sufi esistono due tipi di pellegrinaggi: il Piccolo Pellegrinaggio, ossia la visita si luoghi sacri, e il Grande Pellegrinaggio, ossia la ricerca di se stessi. Mentre il primo è consigliato a tutti, il secondo è consigliato solo a coloro che lo desiderano più di ogni altra cosa, e per tale ragione è riservato a pochi, anzi pochissimi (non basta infatti sentirsi religiosi o aderire a scuole spirituali).

Ma per coloro che sono stanchi o insoddisfatti dei piccoli pellegrinaggi, l’essenza del sufismo, non dissimile dall’essenza di qualsiasi altro processo iniziatico, viene in soccorso. Al-Hallaj (858-922) sintetizzò splendidamente i passi da compiere per il Grande Pellegrinaggio, così come sono stati evidenziati da Gabriele Mandel:

1 – “Sconvolgi il tuo parlare e sii assente alle chimere”. Abbandona le frasi fatte e luoghi comuni; usa con cura ed attenzione le parole in base al loro significato profondo. Sottraiti il più possibile dai mille discorsi oziosi, banali e banalizzanti che permeano le tue giornate: pettegolezzi, gossip, discussioni politiche o sportive, filosofie strampalate, lamentele, eccetera… tutti argomenti di cui, in definitiva, non sai nulla, e che poco e nulla potrebbero influenzare la tua crescita interiore. Tutto ciò conduce infatti a mantenere ed alimentare mille illusioni in merito alla vita, a te stesso e agli altri.

2 – “Sottrai i tuoi passi al movimento del prima e del poi”. Vi sono due tipi di perdenti: quelli rivolti al passato che fondano la loro vita sul “ah, se avessi saputo… se avessi potuto… se avessi avuto… se non avessi perso… se mi avessero lasciato fare”, e i perdenti rivolti al futuro che fondano la loro vita su “quando avrò tempo… quando mi potrò permettere… quando riuscirò ad avere… quando finalmente raggiungerò”. Il vincitore vive esclusivamente nel “qui ed ora”. Se vuole un avvenire sereno lo deve preparare adesso con tutto ciò che la vita gli ha già messo a disposizione nel presente.

3 – “Attraversa il deserto delle istituzioni e dell’essere”. Superati i preconcetti e le illusioni, supera anche il senso di sottomissione morale alle istituzioni religiose e alle regole culturali. Non ti legare ad esse poiché spesso sono meschine e limitanti, fondate su preconcetti ipocriti, pietisti e innaturali. È in loro nome che si innalzano patiboli e si scatenano le guerre. Sostituisci la morale con l’Etica, che è la dimensione umana adatta a tutti gli esseri umani in qualsiasi tempo e luogo essi si trovino. Ad esempio, la morale ti dice “non rubare perché commetteresti peccato”, mentre l’Etica ti dice “non rubare perché faresti un danno a un tuoi simile, e prima o poi questo danno arriverà a danneggiare anche te stesso”. Inoltre, supera anche il senso di sottomissione alla tua importanza personale. Il presuntuoso crede di essere qualcuno, qualcosa di importante, e pretende addirittura che gli altri venerino e rispettino questa forma di devianza psichica. Sii umile, che non significa annullarti di fronte alla vita e agli altri, ma semplicemente divenire dignitosamente cosciente del tuo valore, senza ritenerti superiore ma nemmeno inferiore a nessuno.

4 – “Erra come un folle d’amore con coloro che son perduti d’amore”. Chi è innamorato dà grande valore all’oggetto del suo innamoramento, vivendo intensamente il suo momento di amore. Così dovresti vivere le tue azioni e i tuoi momenti, perché ne potrai ricavare al pari un’intensa soddisfazione. Per fare questo devi però comprendere ciò che davvero ti interessa e per il quale batte il tuo cuore, e occupartene intensamente oltre gli impegni necessari per una sopravvivenza dignitosa. Ricerca e accompagnati ad altri innamorati che vivono intensamente le cose di cui sono appassionati e che possono illuminarci in merito, non cercare la compagnia di coloro che reputano assurdo questo innamoramento. I sufi sono considerati “folli” perché non si abbandonano a illusioni, preconcetti, luoghi comuni, frasi fatte, abitudini sociali o religiose.

5 – “E cogli il senso anagogico per diventare un uccello che va da montagne a colline”. Cogli nella profondità di ciò che accade e di ciò che studi il senso spirituale delle cose, il senso autentico del loro reale significato esistenziale. Questo è il modo per poter essere al di sopra delle idee e delle parti, al di sopra di tutta la transitorietà di questo monto terreno in cui le grandezze si fanno e si disfano, e tutto è vanità. Così potrai volare alto e vedere le cose con distacco nella loro globalità. Ecco perché il sufi è “nel mondo ma non del mondo”. Egli vive la vita comune, patisce, soffre, lavora, paga le tasse, ha il passaporto, ma non è conquistato dalle vanità mondane, non è preso al laccio da sistemi di governo, o finanziari, o consumistici, da diatribe politiche o filosofiche. Tutto emerge e si dissolve continuamente come una nebbia che appare e poi svanisce. Spetta a te decidere se inseguire la nebbia o inseguire la luce nascosta dietro.

6 – “Le montagne dell’intelligere e le colline della dignità”. Volare come un’aquila che dal cielo vede tutte le cose dall’alto, e averne una visione chiara e distaccata. Volare da esperienza importante a esperienza importante, e non patire o indugiare nella bassa valle con tutte le genti del mondo che non alzano mai lo sguardo dal suolo cui sono legate. Volare dalla cime di quell’intelligere, cioè di quel “capire” che ci distingue dagli animali, verso la cima della dignità, cioè di una vita seria, serena e distaccata.

7 – “Affinché tu veda ciò che egli vede”. Affinché la tua visione si svolga nella comprensione delle cose elette, con persone elette, con argomenti eletti, con occupazioni elette; affinché tu giunga a capire in modo illuminato i misteri dell’universo potendo sentire la Presenza che tutto pervade.

8 – “E divenga la spada di colui che colpisce nella Moschea sacra”. Affinché tu divenga coerente, lineare, temprato, impeccabile, tagliente come una spada. Colui che ha una spada non teme nemici perché sa difendersi. Chi gli vuole male sta lontano da lui, le anime vili non osano attaccarlo ma al limite solo denigrarlo da lontano perché impaurite e infastidite dalla vita retta che conduce. Egli è un guerriero, è se stesso, senza falsi valori, senza preconcetti, senza ipocrisie. Non teme nessuno perché conosce bene le sue armi, i suoi valori autentici da perseguire. Egli diviene Al-Insan al-kamil, l’uomo realizzato, l’uomo impeccabile, colui che ha trovato la Moschea Sacra: il suo Cuore.

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IL KHIDR E L’ACQUA DI VITA

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Il+Khidr+e+l'acqua+di+vita(Tahqīq Mā al-Hayāt fī Kašf Asrār)

Šaraf al-Dīn Dāwūd b. Mahmūd b. Muhammad, detto Al-Qaysarī, originario della Cappadocia, visse a cavallo tra il XIII° e XIV° secolo e morì in Turchia probabilmente nel 1350. Discepolo di Al-Qāšāni, fu uno degli esponenti più rivelanti del sufismo di scuola akbariana, ed è in particolare ricordato per la sua intensa attività pedagogica, nonché di meditazione, apologia e diffusione dell’opera di Ibn ‘Arabī. Tra le cariche che rivestì è da segnalare il ruolo di primo direttore e di insegnante di scienze islamiche presso l’università di Iznik, istituzione voluta dal figlio dell’emiro ‘Otmān I, fondatore della dinastia Ottomana, dove, tra i primi nelle regioni orientali dell’Islam, Al-Qaysarī approfondì e diffuse la dottrina del “Più Grande dei Maestri”. Lo scritto più importante di Al-Qaysarī  è un imponente commentario al Fusūs al-Hikam di Ibn ‘Arabī; si tratta di un’opera di riferimento nel suo genere, più volte ristampata e chiosata nei secoli e frequentemente citata da studiosi e autorità spirituali di primissimo piano come Haidar Āmulī e Mullā Sadrā. Per descriverne la fortuna, basti ricordare che tale commento è tutt’ora utilizzato negli ambienti intellettuali sciiti iraniani come testo di riferimento per lo studio dell’‘irfān, la gnosi islamica. Tra le opere principali di Al-Qaysarī sono inoltre da ricordare due importanti commenti mistici agli scritti poetici di ‘Umar Ibn al-Fārid;  lo scritto dedicato all’Hamriyya, la famosa «Ode al Vino», è considerato un classico di rilevanza non inferiore al commento all’opera di Ibn ‘Arabī.

Il testo tradotto e opportunamente commentato da Giovanni Maria Martini nel volume che presentiamo, il Tahqīq Mā al-Hayāt fī Kašf Asrār («La Conquista dell’Acqua di Vita nello svelamento dei segreti delle tenebre»), segue di alcuni anni la prima traduzione italiana del Risāla fi ‘Ibn al-Tasawwuf, presentata nel volume a cura di Giorgio Giurini intitolato «La Scienza Iniziatica», pubblicato nell’ambito del medesimo progetto editoriale, l’encomiabile collana I Gioielli delle “Edizioni Il Leone Verde” di Torino. Il Tahqīq Mā al-Hayāt fī Kašf Asrār appartiene alla produzione minore dell’autore, la quale si compone di cinque scritti originali, concisi ma densissimi dal punto di vista dottrinale, trattanti argomenti di ordine teologico e metafisico generalmente destinati alla cerchia ristretta di chi, avendo già ricevuto l’iniziazione alla Via, poteva rettamente intenderne i contenuti utilizzandoli come supporto all’insegnamento orale. Lo scritto in questione muove dal quesito legato alla determinazione degli stati spirituali e della funzione del Khidr, ovvero se egli sia un Profeta (nabī), un Inviato (rasūl) o un Santo (walī). Ricordiamo brevemente che il Khidr è la figura enigmatica identificata dalla tradizione islamica con il “servo di Dio” che compare accanto a Mosè nella diciottesima Sura, detta Al-Kahf (la Caverna). Egli è descritto come detentore di una scienza infusa di origine divina, a cui Mosè desidera accedere e che pertanto appare essere superiore alla scienza profetica di quest’ultimo. La pietà popolare raffigura il Khidr con dei caratteristici abiti verdi che richiamano il ruolo attribuitogli di patrono della fertilità, delle acque e della primavera, funzione strettamente connessa all’attributo di longevità, la cui genesi, secondo i racconti tradizionali della vita del Profeta (Sīra), sarebbe connessa all’aver attinto alla sorgente dell’immortalità, come narrato in un noto episodio che lo vede accostato ad Alessandro Magno nell’attraversamento delle “tenebre” alla ricerca della fons vitæ. Il prolungamento della vita fino alla fine dei tempi ha reso frequente l’accostamento del Verdeggiante ad altre figure profetiche quali Elia, Enoch e Gesù, le quali, oltre a non aver conosciuto la morte, sarebbero associabili al Khidr anche per il loro peculiare carisma gnostico. La coerenza e l’unità di significato di queste due dimensioni – quella legata al possesso e alla elargizione della scienza divina infusa e quella legata al potere vivificante e rigenerante della acque di cui il Verdeggiante è custode – sono oggetto dell’analisi dell’epistola di Al-Qaysarī. E’ importante sottolineare come il Khidr nel sufismo sia designato come “Maestro degli Afrād”, ovvero di coloro che ricevono l’iniziazione non attraverso una regolare catena iniziatica, ma grazie a un intervento provvidenziale, il quale può avvenire mediante una presenza spirituale incorporea, come ad esempio un maestro assente, morto o sconosciuto (le cosiddette affiliazioni uwaysī), oppure direttamente dalla persona del Khidr. Per comprendere la portata di questa tematica nel pensiero della scuola akbariana, basti ricordare che, secondo le fonti tradizionali, lo stesso ‘Ibn Arabī incontrò il Khidr almeno quattro volte e che ricevette da lui l’investitura iniziatica; in questo senso, riflettere sulla funzione e sulla scienza del Verdeggiante è risalire alle radici e all’origine della scienza del “Più Grande dei Maestri”.
L’epistola di Al-Qaysarī  si articola in quattro premesse e in un capitolo conclusivo che raccoglie e conchiude i guadagni delle sezioni precedenti. Nella prima premessa, in relazione all’episodio della Sura della Caverna, si affronta il tema del rapporto e della gerarchia tra scienza intuitiva e scienza profetica – di cui appaiono essere detentori rispettivamente il Khidr e Mosè – identificate come caratterizzanti il Santo e il Profeta. L’autore sostiene che Profezia e Santità sono espressioni del medesimo principio, laddove la Profezia è legata all’annuncio della Parola Divina, mentre la Santità fa riferimento alla perfezione che deriva dalla vicinanza a Dio; se la prima si esprime esteriormente e pubblicamente, la seconda riguarda invece il lato interiore e personale del soggetto a cui è attribuita. Va da sé che la Profezia perfeziona la Santità che è un suo requisito, il ché giustifica la superiorità riconosciuta tradizionalmente al Profeta sul Santo; al medesimo tempo, però, considerando i singoli attributi del Profeta, è la Santità a determinare il privilegio della funzione profetica accordatogli da Dio in virtù della propria perfezione, ed essa è pertanto essenzialmente superiore a qualsiasi mandato o funzione.
Nella seconda premessa il maestro disserta sull’Acqua di Vita in relazione alla vicenda del Khidr, sottolineando come tale espressione vada ricondotta al significato coranico di Sostanza Universale (al-hayūlā al-kulliyya) e di Scienza Divina (al-‘ilm al-ilāhī). Come Sostanza Universale, il cui simbolo è il mare, essa ha priorità ontologica sugli esseri in quanto condizione di possibilità e supporto della loro manifestazione, e proprio per questo ne rappresenta l’elemento vitale e vivificante. In quanto Scienza Divina, essa è identificata con la conoscenza intuitiva che procede direttamente da Dio mediante la grazia, il cui simbolo coranico ricorrente è la pioggia che cade dal cielo, e a cui è attribuito il potere vivificante in senso iniziatico. La funzione vivificante connessa all’Acqua di Vita è pertanto sia quella fisica che quella spirituale, entrambe presenti in Khidr quale vivificatore immortale e quale maestro della scienza infusa. Al-Qaysarī afferma sussistere una gerarchia di gradi della vita autentica, identificata con la Conoscenza Divina, la quale permea il mondo gradualmente precipitando dall’alto fino a raggiungere il piano fisico: la vita vera è pertanto quella realizzata dallo gnostico, in quanto prossima al grado divino, e non quella effimera del mondo materiale, dove la Conoscenza Divina si manifesta attenuata in forma di sensibilità. L’aver realizzato la Conoscenza Divina spiega le peculiarità fisiologiche che tradizionalmente vengono attribuite ad Elia e a Gesù, il primo capace di non mangiare e dormire per anni, il secondo assunto in cielo in anima e corpo in attesa di tornare alla fine dei tempi: avendo essi raggiunto l’Acqua di Vita ed essendosi così reintegrati totalmente negli stati sottili, il loro corpo è divenuto libero dalle condizioni e dalle limitazioni del mondo sensibile, in primis dai vincoli di spazio e di tempo, partecipando così dell’incorruttibilità propria del piano spirituale.
La terza premessa si interroga sulla questione legata alle tenebre, che ricordiamo comparire nella leggenda del Khidr quale elemento che contiene la sorgente miracolosa, in relazione al viaggio con Alessandro il Macedone alla ricerca della fons vitæ. Il maestro identifica tali tenebre con le Tenebre della Possibilità (al-zulma al-imkāniyya), le quali costituiscono la totalità del possibile latente in ogni singolo essere, la cui espressione e il cui progressivo esaurimento corrispondono alla sua completa realizzazione sul piano della Luce dell’Essenza divina, e quindi al raggiungimento della pienezza della verità e della realtà oggettiva. La tenebra è quindi quanto si contrappone alla luce, ma è anche ricettacolo della stessa, in quanto le tenebre della contingenza, contrapposte alla luce dell’essenza, sono anche il luogo dove esclusivamente può avvenire l’illuminazione spirituale. Come la luce si riverbera nei vari gradi di realtà, così ad ogni livello di illuminazione corrisponde la propria tenebra, che altro non è che la misura della distanza dell’anima da Dio; esiste pertanto una gerarchia dell’oscurità dove le tenebre più spesse sono associate a quelle del livello intellettuale e sono identificate con l’idolatria e la miscredenza.
 
Il viaggio attraverso l’oscurità è l’oggetto della quarta premessa; tale viaggio si configura come un risalire alla sorgente dell’Acqua di Vita, che è qui identificata con il Soffio del Misericordioso (al-nafas al-rahmānī), ovvero con l’agente che presiede all’intera manifestazione procedente dall’Essenza; si tratta in altre parole di un ritorno all’origine – in un percorso inverso rispetto a quello dell’atto creativo – che Al-Qaysarī chiama, conformemente al lessico tecnico sufi, Via dell’Estinzione (tarīq al-fanā). Le stazioni spirituali di tale percorso sono messe in corrispondenza con le tre componenti sottili dell’essere umano, ovvero l’Anima (al-nafs), il Cuore (al-qalb) e lo Spirito (al-rūh). Nel percorso iniziatico vengono sollevati i veli di tenebra che ineriscono a ciascuna livello di esistenza condizionata affinché l’illuminazione sia totale e l’iniziato sia reintegrato nello stato primigenio. Se alla stazione psichica si richiede allo gnostico di giungere alla piena sottomissione e obbedienza ai dettami della legge sacra attraverso l’ascesi e la mortificazione, in quella cardiaca egli diviene luogo di manifestazione degli attributi divini, accedendo così all’autentica visione intuitiva, che prelude agli stati mistici più elevati di ordine squisitamente spirituale, dove si realizza l’annientamento dell’individualità in vista dell’Unione. Solo a questo punto può avvenire la Grande Resurrezione (al-qiyāma al-kubrā), ovvero la rinascita dello gnostico a una nuova esistenza eterna e reale (al-wuğūd al-bāqī al-haqqānī), al riparo dalla morte e dal tempo, la quale conferisce al rinato la capacità di manifestarsi in tutti i mondi – da quello fisico, a quello archetipico, finanche a quello spirituale – essendo egli svincolato da qualsiasi stato di esistenza finita e condizionata. E’ in questa veste che egli è definito da Al-Qaysarī la beatitudine e l’augurio dei mondi (sa’īd al-‘ālamīn).
 
Dalla sintesi presentata diviene chiaro il significato da attribuire alla conclusione del testo, in cui il Khidr viene identificato con colui che, avendo attraversato le tenebre, ha bevuto l’Acqua della Vita e guadagnato la Conoscenza intuitiva, la quale gli permette di essere tramite ed agente della volontà divina nel mondo, cosa che spiega i suoi atti e la sua lungimiranza in relazione alla vicenda narrata nella Sura della Caverna. Egli è, in altre parole, colui che attualizza il Comando Divino (al-amr al-ilāhī)  in virtù della realizzazione di quella forma sublime di sottomissione a Dio che è frutto del pieno possesso della scienza infusa. E’ in virtù di tale sottomissione al Comando Divino che il maestro lo definisce non come profeta portatore di una legge sacra, ma come detentore di una funzione profetica interiore permanente, laddove esternamente egli è sottomesso alla legge istituita dal latore della funzione profetica legiferatrice. Il Khidr, difatti, è esteriormente sottomesso alla normativa sacra in vigore, mentre interiormente riceve direttamente dall’Altissimo quanto agli altri uomini è portato dalla figura del profeta istitutore della legge. La scienza del Khidr è quindi la chiave sia della sua immortalità, che è frutto della realizzazione spirituale, sia della sua proprietà vivificante, in quanto egli è l’agente che, dispensando eccezionalmente la propria scienza a colui che ne è meritevole agli occhi di Dio, conduce alla possibilità di rinascita iniziatica che, come abbiamo visto, è da considerarsi  quale ingresso alla vita autentica. Non sorprende pertanto che gli attribuiti e i poteri del Verdeggiante siano gli stessi di chiunque raggiunga il suo medesimo grado di perfezione lungo la Via.
Sulla scorta dell’insegnamento guénoniano, e in piena concordanza con i dati tradizionali della gnosi universale e in particolar modo islamica, nell’utile introduzione Paolo Urizzi ricorda che il Khidr è eminente figura del maestro interiore, ossia della teofania dello Spirito di Santità dell’iniziato. Nella forma del maestro interiore il Khidr indica al proprio discepolo la via che conduce al luogo atopico della Confluenza dei Due Mari (mağma‘ al-bahrayn), affinché quest’ultimo, abbeveratosi alla fonte di quell’acqua che estingue per sempre la sete, riscopra definitivamente la propria identità con l’altro.

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